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Luna e dita...

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cannaminor
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Luna e dita...

Messaggio da cannaminor » 09/05/2021, 10:07

"Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito." (proverbio cinese?)

"Il magistero non va oltre questo limite, di additare cioè, la via e il viaggio ma la visione è già tutta un'opera personale di colui che ha voluto contemplare".
Plotino

magister, magistero, istruzione, insegnamento non va oltre questo limite, di additare (indicare) cioè la via ed il viaggio...
il maestro, la tradizione, l'istruzione non può sostituirsi all'aspirante, non può mangiare per lui, camminare per lui, vedere e conoscere per lui, al posto suo. L'unica possibilità data all'istruzione è di additare la via, di darne indicazione di direzione, di additare la luna (secondo il celebre proverbio "Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito.")

la via non è il viaggio; la via è un'indicazione di direzione, il viaggio una pratica di percorso, di insegnamento. È mettere in pratica, attualizzare, realizzare l'indicazione ricevuta; è camminare il cammino dato, mangiare e digerire-assimilare il pasto indicato, bere e dissetarsi della fonte indicata, etc .

La visione, il vedere-conoscere-realizzare non può che essere opera personale; nessuno può farlo al posto nostro, nemmeno il maestro più eccelso. Visione è la luna indicata dal saggio; il saggio può solo indicarcela, sta a noi vederla e contemplarla (secondo indicazione ricevute). Lo stolto invece di guardare e (cercare di) vedere ciò che il dito del maestro gli indica, si ferma e sofferma sul dito, sull'istruzione ricevuta, adorando il dito, facendone l'ennesimo oggetto di culto (vitello d'oro), di erudione e trastullo mentale, e perdendo di vista l'indicazione e l'occasione ricevuta che rimandava ad altro del dito stesso.

Contemplare la visione è realizzarla, esserla, viverla, incarnarla. Contemplare la visione e testimoniarla essendola, in esseità, avendola realizzata, e nel caso se dato darne a (nostra) volta indicazione a chi la chiede, consapevoli che ci sarà sempre lo stolto (spesso e purtroppo i più) che si fermeranno a guardare il dito invece che ciò che il dito addita e indica.

Così è da sempre, non c'è da meravigliarsi, c'è chi guarda il dito e lì si ferma e chi guarda dove il dito indica e ci si incammina nella contemplazione della sua visione (luna). Tante sono le dita ad indicare la luna, una per ogni via, ma c'è una sola luna per tutte ad essere additata. Tanti sono gli stolti che si fermano sulle dita, uno solo il saggio che realizza la una-luna.

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Fedro
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Re: Luna e dita...

Messaggio da Fedro » 10/05/2021, 10:13

Se non guardo il dito, se non sostituisco il dito alla luna, c'è soltanto quello che c'è (che contemplo) luna, o foschia sulla stessa, che sia
Che sia un sapore di ciò che si è, oppure un nulla in cui sospendere ogni visione personale di ciò che si è, di sicuro non vedo un posto per una aspirazione personale di un divenire, o la proiezione di un desiderio non realizzato.
Detta in altri termini, lì fuori non c'è nessuna luna da indicare o raggiungere, nè il dito sta ad indicare una direzione tempospaziale, ma una opposta a quella a cui la mente è sorta per essere usata, ovvero dentro se stessi, ove trovare lume ed eventuale ristoro e nutrizione, col cibo necessario e digeribile allo stomaco della nostra comprensione.
Ecco che allora dito e luna divengono coincidenti,senza possibilità di errore o abbaglio.

cielo
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Re: Luna e dita...

Messaggio da cielo » 10/05/2021, 18:46

La vita a volte ci permette di comprendere che la via prende il sopravvento sulla meta. La via più importante della meta.

Così si indulge nella via, nelle scelte personali che secondo noi concretizzano la meta (che non è concretizzabile in concetti ma solo incarnata nell'istante, in identità) con il rischio che il dito divenga più importante della luna che indica. Oggetto di osservazione, su cui disquisire.

Il rito, la bhakti "formale" diventa più importante della contemplazione dellaPresenza del Divino nel proprio cuore che non ha bisogno di null'altro che di un ritorno-rientro consapevole nelll'interiorità. Un tornare al centro della croce dell'esistenza, dal piano orizzontale, passando per il centro, si percorre torna all'asse verticale: autoconoscenza. Esperienza diretta:sii ciò che sei (da io sono questo, a io sono, a "sono" nel nirguna)

Nell'interiorità, nel luogo del Cuore, giace il seme della felicità, tornare alla luna, allameta del Sè. è riavvolgere il nastro, tornare alla consapevolezza di sè, nel luogo del cuore dove risiede la rosa sbocciata.

Solo riconocendo ciò che si è, senza stratificazioni e dita che indicano la luna o i suoi riflessi nelle apparenze del mondo (i laghi mentali in cui la luna si riflette) c'è la possibilità di tornare a osservare la luna (la meta) e non il dito che la indica (la via), ma bisogna muovere la mano e vedere le nostre dita che indicano a loro volta una luna che si sono immaginata, e magari lo fanno "per il mondo" per gli altri, per il "bene". Tutte dita che indicano la stessa Luna.

Una lunga opera di spogliazione e di ritorno al centro immobile di sè che non può certo essere indicato da alcun dito, visto che l'unico mezzo di riconoscimento di quel sè-luna è identitario, lì non si può sbagliare seguendo l'indicazione sbagliata data da un dito, perchè ciò che sei, sei, non ci sono scelte e ragionamenti al seguito, sei ciò che sei.

Le segnaletiche per l'autoconoscenza di sè sono necessarie fino a un certo punto, poi è la luce della luna stessa che illumina il cammino del viandante.
E' la meta stessa che crea sotto i nostri piedi la via da percorrere, passo dopo passo.

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cannaminor
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Re: Luna e dita...

Messaggio da cannaminor » 11/05/2021, 11:14

Fedro ha scritto:
10/05/2021, 10:13
Detta in altri termini, lì fuori non c'è nessuna luna da indicare o raggiungere, nè il dito sta ad indicare una direzione tempospaziale, ma una opposta a quella a cui la mente è sorta per essere usata, ovvero dentro se stessi, ove trovare lume ed eventuale ristoro e nutrizione, col cibo necessario e digeribile allo stomaco della nostra comprensione.
Ecco che allora dito e luna divengono coincidenti,senza possibilità di errore o abbaglio.
"Il magistero non va oltre questo limite, di additare cioè, la via e il viaggio ma la visione è già tutta un'opera personale di colui che ha voluto contemplare"

Infatti là fuori non c’è nessuna luna, non ancora; il dito indica una direzione, “di additare la via ed il viaggio…. ma la visione (luna) è già tutta un'opera personale di colui che ha voluto contemplare"

Il momento che osservi il dito, quello ti sta solo indicando una via (direzione), un viaggio (cammino), non ti sta né può già indicarti-vedere la “luna” cui quella via e viaggio, direzione e cammino, conduce.

La visione della luna è opera personale di colui che ha voluto contemplare (consapevolezza).

Nessuno sa a priori cosa troverà e a cosa condurrà la via ed il viaggio che va ad intraprendere.

Può ipotizzarlo, inferirlo, pensarlo, persino crederci ed averne fede in, ma nessuno lo sa-è (realizza) finché non lo trova, finché non ne ha visione per contemplazione-consapevolezza.

Raphael in un sutra tratto da “Alle Fonti della Vita” diceva;

113. Capire è una cosa, comprendere è un'altra, realizzare è ancora altra cosa.
I molti capiscono e discettano, i pochi comprendono e meditano, i pochissimi realizzano e sono.

La visione porta alla consapevolezza di essere, di esseità, la contemplazione è realizzazione, è riconoscimento diretto di ciò che si è.

Quanto alla direzione indicata-additata, la tradizione di solito è coerente alla massima “conosci te stesso”, quindi la direzione di solito indicata è verso l’interiorità, verso il “cuore”, verso la sorgente, le origini, il centro di ciò che si è. Questa direzione di solito viene descritta come la “via diretta”.

Ciò non di meno la tradizione non impone e obbliga niente e nessuno ad uno specifico percorso e via, men che meno in merito alla direzione; il che si traduce che se uno preferisce dirigersi invece che per direzione interna-diretta verso quella esterna e indiretta, va bene uguale. Il tempo e lo spazio non è fattore contemplato del cammino e percorso indicato. Una o mille vite sono esattamente uguali in riferimento alla visione-contemplazione finale. Oserei persino dire che anche il dito stesso, in un’ottica in divenire spazio-temporale è anch’esso a buon diritto facente parte del cammino indiretto.

Questo per dire, ed è osservazione del tutto personale, che quale che sia la direzione intrapresa, persino nessuna direzione e fissi sul dito, è sempre percorso fatto. L’erranza, l’errare secondo me ha tutto il diritto di essere assimilato ad un ipotetico cammino diretto che giunge “prima” alla meta.

Occorre poter sbagliare per ravvedersi, e poiché nessuno nasce “saputo” come dicono in quel di roma, anche l’errore e l’erranza ha buon diritto di essere considerata cammino a tutti gli effetti.

Così alla fine, anche lo stolto che guarda il dito e ci si fissa sopra, anche lui è in cammino a suo modo e maniera. Ci metterà di più, sarà più lungo ed errante il suo di cammino, ma come già detto tempo e spazio non sono parte della contemplazione finale; alla “fine” anche lui\lei arriverà ad essere ciò che è sempre stato dal bell’inizio, tanto quanto il saggio che ci arriva “subito”.

C’era un detto amato pronunciare dal nostro solito caro amico; “È sempre e solo Iswara che si incarna”, e quindi aggiungerei siamo tutti incarnazioni di Iswara.

Quindi siamo tutti incarnazioni di Iswara e ad Iswara torniamo sempre tutti noi, volenti e nolenti, erranti o meno, alla fine tutti torniamo a casa, giro lungo o corto che sia. Siamo tutti erranti in questo senso, siamo tutti fuori casa, ed a tutti spetta di tornare a casa prima o poi. Del resto il problema del “tempo” è problema di chi è in cammino, non della meta finale da raggiungere.
Cambia il cammino, non cambia la meta. E se è pur vero che si parte sempre da dove si è (e non da dove ci si crede, opina, inferisce, pensa di essere), in ogni modo la meta resta sempre la stessa identica per tutti. Tutti torniamo a casa, partendo da dei “dove si è” più disparati, ma la casa finale cui si torna è la stessa per tutti. Tutti torniamo ad Iswara (secondo questa lettura e visione) perché tutti siamo incarnazioni di Iswara...tante incarnazioni, un Iswara, tante partenze, una meta finale.

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cannaminor
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Re: Luna e dita...

Messaggio da cannaminor » 19/05/2021, 0:07

(Tratto da Avadhūtagita, commento di Bodhananda, Ed. I Pitagorici, sutra 32 Cap.V, pag 209)

32) Dove nessuno ha niente da conoscere, non c’è neppure la narrazione in versi. Il supremo, il liberato assorbito nella coscienza dell’Essere omogeneo, puro di pensiero, balbetta la verità.

Quale sia il dire di un avadhūta, di un realizzato, in proposito della Verità suprema, pur essendo una testimonianza, essa è mediata dalle limitazioni del linguaggio. La Verità non può essere espressa; pertanto qualunque cosa viene detta di essa, sarà soggetta non solo alle limitazioni del linguaggio, ma anche alle limitazioni della coscienza individuale che con queste si confronta. Così Dattātreya avverte l’aspirante che si confronta con i suoi versi. È un invito a non confondere queste parole con la Verità stessa, esse possono essere di monito, di indirizzo, ma non certo la Verità in sé. Esse sono il dito che indica la luna, dito da non confondere con la luna stessa.

Qui termina il quinto capitolo dell'Avadhūtagita di Dattātreya intitolato “Lungimiranza Stessa”.

cielo
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Re: Luna e dita...

Messaggio da cielo » 19/05/2021, 8:21

Il nettare dell'Avadhūtagita è la rinuncia; è un invito all'aspirante a fare quel passo decisivo per sperimentare il completo e definitivo abbandono della dualità.
Questo passo decisivo avviene quando l'aspirante sperimenta che ogni percezione, ogni categoria utilizzata per attribuire qualità agli oggetti della percezione e ogni dualità (polarità dei contrari che scandiscono la manifestazione e il suo ritmo vitale) sono tutte impressioni della mente.
Impressioni la cui lettura e interpretazione dipendono solo dall'adesione al piano fenomenico, al mondo: jagat.
La parola jagat (mondo, universo) si divide in due parti ja che significa contrazione e ga che significa espansione.
Ce lo mostra il cosmo dove ci sono le galassie in espansione e anche i buchi neri che le assorbono come fossero grandi apparati digerenti il mare di latte delle stelle.
Eppure, dicono i Veda, questo jagat con il quale entriamo in contatto rappresenta solo un quarto del brahman, che si mostra ai nostri sensi in manifestazione attraverso questo velo stellato di maya.

Sovrapposizione e identificazione sono i due poteri di maya: la madre della dualità.
E l'ignoranza, avidya, che è la madre di tutte le afflizioni conseguenti, gli agenti "virali" che viziano l'aria della stanza della mente, che poi è il luogo in cui questo jagat si crea, per ognuno di noi. Emozioni quali paura, ira, avidità, invidia, odio eccetera..viziano l'aria.

Come sta accadendo in questa attuale emergenza sanitaria che affligge l'intero mondo, l'aria viziata richiede misure di sicurezza appropriate che si concretizzano soprattutto nell'arieggiare, per far circolare l'aria in tutti gli spazi "abitati".
L'unico modo per risolvere sarebbe aprire la finestra, tanto è perfettamente inutile impedire che l'aria circoli all'interno della stanza e non scopriremo mai chi è l'untore perchè il vettore che "vizia" l'aria è perfettamente mimetizzato nell'aria stessa e senza etichetta identificativa sulla sua provenienza.
La metafora la ribalto sulla mia mente: perchè cessi la meditazione "che non serve a niente" deve cessare l'adesione che crea un soggetto meditante e un oggetto meditato differenziandoli.
Occorre trascendere ogni distinzione e bere il nettare della rinuncia. Rinunciare alla manifestazione aprendo la finestra della mente perchè i pensieri si dissolvano non avendo più nulla a cui aderire.
Perchè piangi o mente?
L'avadhuta mostra lo stato naturale, privo di separazione, qualificazione, aspetto o attributo. A quello si può tendere, nel frattempo che si risolve quello che c'è, arieggiando le stanze della mente in modo che l'aria della stanza torni a rimescolarsi con quella di fuori, considerando che sempre della stessa aria stiamo parlando, pur se tenuta separata da muri, lastre di plexigas, strumenti di protezione individuale.

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