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Io sono il Tempo

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ortica
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Io sono il Tempo

Messaggio da ortica » 07/06/2019, 11:22

32. Io sono il Tempo, distruttore dell’universo pervenuto a maturazione e quindi (sono)
occupato a dissolvere le stirpi (degli uomini). Anche senza il tuo intervento questi guerrieri, schierati in opposte file, si dissolveranno.
33. Perciò sorgi e conquista la gloria; trionfa sugli avversari e impegnati per un prospero regno. (Sappi che) questi guerrieri da gran tempo sono da Me considerati già scomparsi. Tu sei solo lo strumento, o Savyasācin (di ciò che dovrà essere).
34. Droṇa, Bhīṣma, Jayadratha, Karṇa e similmente gli altri valenti eroi, che da Me sono già stati soppressi, distruggi, senza alcuna paura; combatti e vincerai i tuoi nemici.”



Commento di Raphael:
Kṛṣṇa svela il suo volto śivaita: sul piano del manifesto ogni cosa, che proviene poi da Me, nasce e muore; per Me un ente-evento non fa in tempo a nascere che già è dileguato, riportato nel non formale, trasceso.
L’universo dei nomi e delle forme non è altro che un caleidoscopico emergere e svanire, travaglio di elementi, di atomi che vengono, spariscono, ritornano in un turbinio incessante. Vita: eternità e baleno, potenza e svigorio, attimo eternale, apparizione e scomparsa.
Arjuna, discepolo kṣatriya, è lo strumento dell’ineluttabile tramonto della forma. È Kṛṣṇa in persona che gli ordina di eseguire il Dharma cosmico, venuto a maturità. Noi, semplici viandanti sulla via del conflitto, non possiamo seguire l’ordine impartito ad Arjuna; non siamo strumenti dell’universale, non possiamo uccidere, quantunque conosciamo l’inevitabile svanire della forma. Un karma negativo, certo, si raccoglierebbe sulle nostre spalle qualora uccidessimo. Ogni jīva ha il diritto, come noi, di ‘sognare’, ogni jīva ha il diritto di vivere e lottare per scorgere quel faro che, prima o poi, lo condurrà nel grande porto della beatitudine. È bene riflettere sul primo verso del sūtra 32: “ Io sono il Tempo, distruttore dell’universo pervenuto a maturazione...”. Śiva si svela solo quando la messe è matura.

dalla Bhagavadgītā, Il canto del Beato
traduzione e commento di Raphael
edizioni Āśram Vidyā

ortica
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Re: Io sono il Tempo

Messaggio da ortica » 07/06/2019, 11:32

Il commento di Raphael a questi tre sūtra è di grande rilievo perchè mette in evidenza l'abisso incolmabile fra noi e Arjuna, discepolo di Kṛṣṇa.
Il fatto stesso che Raphael abbia commentato in tal modo e con tale chiarezza sta ad indicare - al mio sentire - come non gli sia sconosciuto il fatto che tanti sedicenti kṣatriya nell'ultimo conflitto mondiale, e non solo, si sono avvalsi delle parole di Krishna ad Arjuna per trovare una giustificazione "alta" alle proprie scelte mortifere.
Tuttavia, nonostante il commento di Raphael e non potendo ritenere che tale commento sia conosciuto ai più, non si può negare che i sutra citati possano essere utilizzati strumentalmente da cattivi maestri, che purtroppo non mancano mai, come uno svilimento della sacralità di ogni essere umano ed un incitamento all'uccisione dell'altro, perchè "tanto è già morto".
È già avvenuto e sembra accadere nuovamente, nella spirale di indefinita durata della storia.
Dimenticano, i cattivi maestri, che le caratteristiche principali di Arjuna, arciere perfetto, archetipo del guerriero, lo kṣatriya, sono l'incertezza, il dubbio, l'estrema riluttanza nel compiere ciò che gli viene indicato dalla forma Divina.
Arjuna non si diverte affatto, non cerca giustificazioni, ma soffre terribilmente e il suo smarrimento è totale di fronte al combattimento che gli si prospetta. Davanti alle schiere dei suoi amici, parenti, maestri, egli piange.
Per comprendere Arjuna e l'insegnamento impartitogli da Krishna bisogna sapere dove siamo, cosa stiamo leggendo e perché.

La Bhagavadgita, insieme al corpus delle Upanishad (in particolare le 13 principali) e al Brahma Sutra, costituisce il Prasthānatrayī, ovvero le tre fonti sacre su cui si basa il Vedanta Advaita.
Per comprenderle occorre al discepolo qualificato utilizzare i tre pilastri della pratica vedantica, ovvero: ascolto, riflessione e meditazione profonda. Ma, prima di tutto, occorre la grazia dell'incontro con un maestro realizzato riconosciuto da quella tradizione che possa trasmetterne il significato profondo da cuore a cuore.
In mancanza, è opportuno dedicarsi ad altro.

Per tali motivi, prima di prendere un testo sacro - peraltro appartenente a una diversa cultura religiosa - e trarne frettolose conclusioni in aderenza a inferenze o pregiudizi personali, si consiglia prudenza.

Ogni volta che si trova citata la Bhagavadgita come testo preferito di Himmler, capo delle SS nel terzo Reich, oppure oggi di Steve Bannon, Alexander Dugin ed altri ideologi e seguaci del cosiddetto Dark Enlightenment, è bene considerare che si tratta di personaggi che si collocano fuori e contro il Sanathana Dharma (tradizione perenne).
L' utilizzo di testi sacri per milioni di persone costituisce in questi casi esclusivamente un insulto.

La comprensione dei tre sutra riportati e qui commentati da Raphael presuppone la conoscenza di alcuni concetti fondamentali del Sanathana Dharma, quali dharma, svadharma, sanchita karma e, in particolare, prarabdha karma.

"Śiva si svela solo quando la messe è matura"

Non prima, nè dopo.
E non è compito umano stabilire il quando.

cielo
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Re: Io sono il Tempo

Messaggio da cielo » 08/06/2019, 11:24

Trovo il titolo di questo 3D particolarmente istruttivo:
"Io sono il Tempo".

Śiva che è identità e differenza, risuona nel mondo tramite individualizzazione e differenziazione, dimensioni che l'aspirante è invitato a trascendere per tornare all'Identità con l'Immortale e Indefinibile, con L'Uno senza secondo.

Quando dormiamo torniamo all'indifferenziato e trascendiamo il tempo, difatti al risveglio ci tocca guardare l'ora per tornare nel flusso temporale e lì ricollocarci. Purtroppo nello stato di identità del sonno profondo non siamo consapevoli di essere, se non in modo molto vago.
Immersi nel nostro "io sono" dormiente, lo annulliamo spontaneamente, ma ciò che potrebbe testimoniare la presenza dell'Essere non ne conserva, al risveglio del "conducente del carro", che un vago sentore di pieno benessere, ristoratore (ho dormito così bene).

Ugualmente la morte dà lo stop al fluire del tempo così che "l'io sono" possa svanire abbandonando la memoria che ha costruito durante la permanenza nella dimensione spazio-temporale, impulsata dalla causalità, che gli ha concesso di indossare nuovamente un prezioso corpo umano.

L'ordine cosmico rassetta le multiple memorie e annulla le differenziazioni, lascia solo i programmi necessari al computer mentale per riorganizzarsi, in caso di risveglio in un nuovo flusso causale-temporale, con nuovo nome e forma.

Potremmo modificare il complemento oggetto della frase: "Io sono [che cosa?] il Tempo" in complemento di luogo:
"Io sono nel Tempo".
Così è evidente che l'io (nama-rupa) si esprime e si manifesta solo nel tempo.

La compassione di Krishna per Arjuna e il suo ruolo di avatar (di protettore e conservatore) lo induce a fornire al "passeggero del carro" di cui è il divino auriga, le istruzioni necessarie per completare l'azione dharmica nel campo di battaglia.

Arjuna è un guerriero, portatore dell'arco di Śiva, nel tempo deve combattere e risolvere il finale del gioco divino intrapreso.
All'ordine di combattere si accompagna però l'istruzione di pura metafisica che rassicura Arjuna piombato nella "differenza" pochi istanti prima di scendere in battaglia.
Arjuna, che agisce nel tempo e nell'individuale, fa emergere la memoria e non si sente pronto a uccidere "persone amate" che ricorda amorevoli nella sua infanzia e con cui ha condiviso tante esperienze, ma contestualmente sa di doverlo fare dovendo difendere altre "persone amate" (i fratelli, la madre, la moglie, i fidi alleati e l'intero popolo).

Un'impasse che lo paralizza.
Senza l'istruzione metafisica del "nessuno nasce,nessuno muore" non sarebbe riuscito ad uscirne e a compiere l'azione necessaria, quella dharmica, richiesta dal ruolo indossato.

Solo tornando alla consapevolezza trascendente del "Sono", si farà mero strumento del flusso causale in azione.

Può aiutarci, nella nostra riflessione sulla morte e nella ricostruzione dei simboli di cui le scritture sacre sono intrise e che sono "visibili" a chi le medita, non certo a chi le strumentalizza facendo di Dio e della sua parola un oggetto da usare a propri fini, ricordare alcuni passaggi della mitica storia di Arjuna, il Puro, non pienamente umano in quanto figlio di Indra, precedenti alla discesa in battaglia con un Purnāvatar come auriga.

Nel Mahabharata (più precisamente nel Vana Parva) Indra consigliò al figlio Arjuna di propiziarsi Śiva affinché quest'ultimo gli concedesse in prestito il proprio temibile arco (Gandhiva). Arjuna aveva infatti bisogno delle armi più forti dei Deva per sconfiggere i suoi malvagi cugini Kaurava nella guerra di Kurukshetra.

Arjuna intraprese così una serie di duri ascetismi e austerità, durante i quali non pensò ad altri che a Śiva, adorandolo nella forma di Lingam, e rivolgendo a quest'ultimo la propria devozione.

Śiva, constatando la purezza dei suoi intenti, volle mettere alla prova il suo ardore guerriero: un giorno, il Pandava fu attaccato da un grande demone sotto forma di cinghiale, così afferrò il proprio arco e scagliò una freccia. Śiva, che nel frattempo aveva assunto la forma di un cacciatore, scagliò a sua volta una freccia, che colpì il bersaglio nello stesso istante di quella di Arjuna. Il demone cadde al suolo senza vita, ma Arjuna si accorse che qualcun altro aveva interferito con quello scontro. Accortosi della presenza del cacciatore, prese così a litigare con lui su chi avesse colpito la preda per primo, la discussione si animò rapidamente e i due ingaggiarono un feroce duello.

Combatterono per lungo tempo, ma Arjuna per quanto si impegnasse non riusciva a sopraffare l'avversario. Stremato e ferito, meditò su Śiva invocando umilmente il suo aiuto. Quando riaprì gli occhi vide il corpo del cacciatore adornato da fiori e capì che questi non era altri che lo stesso Śiva. Arjuna si prostrò ai suoi piedi, scusandosi per non averlo riconosciuto e per essersi addirittura scagliato in battaglia contro di lui. Ma Śiva gli sorrise, rivelandogli il proprio vero intento, che era quello di assicurarsi che Arjuna fosse qualificato per utilizzare la sua arma più potente. Śiva gli promise che, prima dell'inizio della guerra, gli avrebbe consegnato la propria arma ed insegnato ad usarla; e, benedicendolo, scomparve." (wikipedia)



Immagine
Mahabalipuram "la penitenza di Arjuna"

Questo capolavoro è conosciuto come “la discesa del Gange” o anche “la penitenza di Arjuna”. La rappresentazione si presta infatti a due diverse interpretazioni, la discesa del Gange, tema della mitologia di Shiva e la penitenza di Arjuna, un episodio del grande poema epico del Mahabharata.
Secondo la prima, la scultura simula la discesa del Gange, il punto centrale della composizione nella spaccatura naturale al centro della roccia. La composizione del rilievo include gli elementi principali della storia (a sinistra) e scene dei mondi naturali e celesti (a destra). Attorno al Gange ci sono i naga, le divinità serpente, persone che si bagnano e pregano, figure di dei sospesi in aria, gandharvas (gli spiriti mariti della Apsaras cioè gli spiriti femminili delle nuvole e dell’acqua), fiori di loto, animali come pesci, rane, leoni, cerbiatti, elefanti, una famiglia d scimmie che gioca con il piccolo, ecc. tutti a celebrare l’arrivo sulla terra del fiume celeste Gange.
Nel mito della discesa del Gange, la mitologia spiega che il saggio Bhagirath, colui che è raffigurato a sinistra su una gamba in posizione yogica, ha chiesto al Gange, che appariva come la Via Lattea in cielo, di scendere sulla terra a lavare i peccati mortali.
Egli implora Shiva, dietro di lui con i gana (gli assistenti di Shiva che vivono sul monte Kailash e di cui Ganesha è scelto come loro conduttore da Shiva, da cui il nome Ganesha, Ganesa o Ganapati, "signore dei gana") ed in possesso di un'arma, di accogliere nella sua chioma il fiume sacro per attutirne l’impatto sulla terra. Proprio sotto l’asceta c’è anche un piccolo tempio con una immagine di Vishnu attorno a cui siedono altri asceti ed animali. C’è anche un po’ di humor, caratteristico dell’arte indiana, nella figura del gatto che imita la postura di Bhagirath.
Nell’ipotesi alternativa, l’asceta è Arjuna, uno dei fratelli Pandava, abile arciere, raffigurato mentre fissa il sole di mezzogiorno attraverso un prisma formato dalle sue mani che, sulle rive del fiume, esegue la penitenza al fine di ottenere da Shiva l’arma potente che gli permetterà di sconfiggere la stirpe ribelle. Nella fisolofia indù, la penitenza non è intesa come espiazione del peccato ma come auto-mortificazione per ottenere dagli dei potenza sufficiente anche per superare gli dei stessi. (tratto da qui)

latriplice
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Re: Io sono il Tempo

Messaggio da latriplice » 18/06/2019, 16:38

33. Perciò sorgi e conquista la gloria; trionfa sugli avversari e impegnati per un prospero regno. (Sappi che) questi guerrieri da gran tempo sono da Me considerati già scomparsi. Tu sei solo lo strumento, o Savyasācin (di ciò che dovrà essere).

E se questa per ipotesi fosse una realtà non duale (advaita)? Che c'è solo Una Sorgente, che tutto quello che c'è, è Coscienza?

Le implicazioni sarebbero inquietanti e sconvolgenti per tutti coloro dotati di intelletto umano:

Cioè, che nessuno fa niente. Che ogni cosa che accade è predeterminata fin dal momento del concepimento, sia che il concepimento venga abortito o nasca un bambino, dall'utero alla tomba tutto è predestinato.

Gli eventi accadono. Nessuno fa niente. Tutte le cose accadono esattamente come dovrebbero accadere, secondo la volontà di Dio, che si può anche riferire alla sorgente universale o Coscienza impersonale per coloro che hanno un problema con la parola “Dio”. Siamo meri strumenti corpo-mente attraverso cui opera la volontà divina.

Tu sei solo lo strumento, o Savyasācin di ciò che dovrà essere.

La distinzione tra Krishna e Arjuna verrebbe a cessare, trattandosi della coscienza impersonale nel caso di Krishna e della stessa coscienza identificata con un nome ed una forma come entità separata nel caso di Arjuna.

Distinzione mantenuta in loco dal pensarsi l'agente personale dell'azione dotato di libero arbitrio e facoltà di scelta, non tanto dal considerarsi come strumento della volontà divina.

Se si è in grado di accettare che io non sono l'artefice dell'azione e che tutte le azioni sono accadimenti e che nessuno fa nulla, non si incolpa né si condanna se stessi o gli altri per ciò che fecero o non fecero; si prova piacere nel raggiungere i propri obbiettivi ma non orgoglio, non ci si sente in colpa o si prova vergogna per le proprie azioni, tantomeno odio o malizia verso l’altro.

Nessun orgoglio o arroganza per le mie buone azioni, nessuna colpa o vergogna per le mie cosiddette cattive azioni, nessun odio nei confronti dell’altro per le sue azioni.

E con una tale attitudine è inevitabile che si giunga alla pace della mente.

La pace della mente non può accadere a meno che non vi sia totale accettazione che “io non sono l’artefice delle mie azioni né l’altro delle sue. Dio è l’unico agente”.

Pensiamo ai fardelli che ci trasciniamo sulle spalle dal ritenerci gli artefici delle azioni. L'odio ed il rancore per quello che gli altri hanno fatto a me. Senso di colpa e vergogna per le cose brutte che ho fatto ad altri. Orgoglio e arroganza per le mie buone azioni compiute nei riguardi del prossimo.

Ecco allora che appare chiaro cosa si intende per moksha, liberazione. Libertà da cosa? Non certo la libertà dall'ego che è solo uno strumento attraverso il quale opera la volontà divina, ma la libertà dell'ego dal senso di essere l'artefice dell'azione personale e dal fardello che questa convinzione lo costringe a sopportare.

L’illuminazione è la totale accettazione che io non sono l’agente delle mie azioni, e nemmeno l’altro. Significa la totale accettazione che tutto nel mondo avviene per volontà di Dio; attraverso quale persona in particolare ciò avvenga è la volontà di Dio, e in che modo tale avvenimento influisca su ciascuno e anch’essa volontà di Dio.

E cosa farà per me l’illuminazione nella mia vita quotidiana che non ho mai avuto prima?

L’illuminazione non ti renderà un essere umano perfetto, nessuna negatività ma solo positività. Non ti darà poteri speciali come camminare sull’acqua, apparire in due posti allo stesso tempo o prevedere il futuro.

L’unica cosa che l’illuminazione ti darà è la pace della mente, conseguenza dal non ritenersi responsabile delle azioni, responsabilità tipica della miseria umana.

L’illuminazione potrebbe non renderti la vita facile, ma la vita diventa certamente più semplice e rilassata.

Quasi tutti accettano intellettualmente un concetto che libera dal peso della colpa e della vergogna per le proprie azioni, e odio e rancore verso l’altro per le loro azioni. Ma il problema è che il concetto non può funzionare a meno che l’accettazione sia totale e non solo intellettuale.

Quindi, che cosa devo fare per avere la totale accettazione che non sono l’agente delle azioni? La risposta è “nulla”. Se non sono l’agente, non c’è nulla che io posso fare. Può solo accadere se è previsto che accada secondo la volontà di Dio ed il tuo destino.


“La Sua volontà è la nostra pace”.
Paradiso Canto III, Dante”

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Re: Io sono il Tempo

Messaggio da Fedro » 18/06/2019, 19:23

Il paradosso però, è che, sinquando crediamo ad una individuazione indipendente (ego) che si pone nell'accettazione di non essere soggetto agente, così, al contrario di ciò che pensiamo, lo stiamo riaffermando come agente, in quanto stiamo ponendo una volontà (accettare quel che c'è), come se ciò corrisponda ad una non azione o non scelta.
E' proprio lontano dall'identificazione a questo presunto ente che sceglierebbe di accettare "quel che c'è", che può accadere di osservare "quel che c'è" senza alcun agente che debba accompagnarlo con un atto di accettazione o rifiuto, che sia. (e questa è forse già libertà)
La fogliolina in superficie al ruscello, scorre da sè, senza una presunta volontà di accettarlo.
E questo perchè è anche il fiume, la corrente, il bosco, e tutto quello che si abbraccia con un unico sguardo.

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Re: Io sono il Tempo

Messaggio da latriplice » 18/06/2019, 19:51

Fedro ha scritto:
18/06/2019, 19:23
Il paradosso però, è che, sinquando crediamo ad una individuazione indipendente (ego) che si pone nell'accettazione di non essere soggetto agente, così, al contrario di ciò che pensiamo, lo stiamo riaffermando come agente, in quanto stiamo ponendo una volontà (accettare quel che c'è), come se ciò corrisponda ad una non azione o non scelta.
E' proprio lontano dall'identificazione a questo presunto ente che sceglierebbe di accettare "quel che c'è", che può accadere di osservare "quel che c'è" senza alcun agente che debba accompagnarlo con un atto di accettazione o rifiuto, che sia. (e questa è forse già libertà)
La fogliolina in superficie al ruscello, scorre da sè, senza una presunta volontà di accettarlo.
E questo perchè è anche il fiume, la corrente, il bosco, e tutto quello che si abbraccia con un unico sguardo.

Quindi, che cosa devo fare per avere la totale accettazione che non sono l’agente delle azioni? La risposta è “nulla”. Se non sono l’agente, non c’è nulla che io posso fare. Può solo accadere se è previsto che accada secondo la volontà di Dio ed il tuo destino.


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Re: Io sono il Tempo

Messaggio da Fedro » 18/06/2019, 20:26

È infatti una domanda che può solo decadere insieme alla risposta e a chi se la pone

Massimo
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Re: Io sono il Tempo

Messaggio da Massimo » 19/06/2019, 0:03

Sto leggendo la Bhagavagita, ma la mia riflessione alla luce dei concetti dell 'advaita vedanta mi porta a dei paradossi intellettuali che non riesco facilmente a superare; se non siamo artefici delle nostre azioni in quanto siamo solo dei corpi-mente nelle mani della volontà divina o coscienza universale, tutto ciò che accade è perfettamente adeguato, allora perchè Krisha sprona Arjuna a combattere? In ogni caso ciò che farebbe Arjuna sarebbe la volontà divina. Sempre nella Bhagavagita Arjuna domanda"ma da che cosa è l'uomo sospinto come per forza, da una realtà a lui estranea, come se, malgrado egli vi sia costretto da una qualche realtà trascendente? Krishna :"E' il desiderio accumulato che lo incita a comportarsi in tale modo. Nemico dell'uomo è denominato in molteplici maniere:desiderio smodato, passione sfrenata, richiamo della carne, peccato, errore.....Risiede nei sensi e nella mente per mezzo di questi avvolge la conoscenza confondendo lo spirito. Perciò il tuo primo dovere è di frenare i sensi, eliminando questa causa di errore che distrugge conoscenza e esperienza". Ma il paradosso è che non c'è nessuno che abbia la volontà di frenare i sensi perchè l'interlocutore di Krishna è Krishna stesso, non è questo a fondamento dell'Advaita Vedanta? Alla luce di questo insegnamento non ci dovrebbe neanche turbare chi utilizza le sacre scritture per compiere nefandezze, se così si possono definire, mettendoli sullo stesso piano di chi legge le sacre scritture per compiere atti disinteressati di bontà verso il prossimo. In poche parole Hitler e Madre Teresa sarebbero da mettere sullo stesso piano perchè entrambi espressione sella volontà divina, trascendendo il bene e il male ci si dovrebbe astenere dal giudizio, essere indifferenti e distaccati dalle cose mondane. "Il saggio realizza il proprio dovere senza dipendere dai risultati delle proprie azioni.."

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Re: Io sono il Tempo

Messaggio da Fedro » 19/06/2019, 6:50

Sembra che l'unica possibilità che l'uomo abbia, sia aprire gli occhi per vedersi (o rimanere con gli occhi chiusi.)
Che questo avvenga da sé per maturazione naturale è già un punto di vista.
L'altro è che il jiva che lotta con le sue passioni, abbia la facoltà di assecondarle o riconoscerle in un atto di presa di coscienza. Da qui, la possibilità di distaccarsene e non esserne più schiavo..
Quindi è diverso questo agire (dharmico) che può scaturire da questa visione, che trascende ogni impulso e passione e segue invece un ordine di cui si è strumenti, rispetto a quello identificato e impulsato a un ideale relativo, quindi corrotto da questa visione limitata in quanto meramente umana: che si tratti di Hitler come di Madre Teresa (considerala pure un opinione personale) per quanto siano casi eclatanti che portano a conseguenze diversamente discutibili.
Dunque sono due piani diversi: quello assoluto di Shiva e quello relativo dell'uomo: assolutizzare un'idea umana come relativizzare l'assoluto è l'errore che facciamo, usando la mente oltre le nostre capacità relative, con la facoltà impropria di concettualizzare, quindi proiettare in idee (ergo non vere) la realtà.
Riconducendo lo strumento mentale nel suo ambito naturale, possiamo constatare che questa dinamica e uso della mente è falso e fuorviante, ed è come se si volesse guardare il paesaggio dal buco della serratura e non aprendo la porta.

cielo
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Re: Io sono il Tempo

Messaggio da cielo » 19/06/2019, 9:43

Massimo ha scritto:
19/06/2019, 0:03
Sto leggendo la Bhagavagita, ma la mia riflessione alla luce dei concetti dell 'advaita vedanta mi porta a dei paradossi intellettuali che non riesco facilmente a superare; se non siamo artefici delle nostre azioni in quanto siamo solo dei corpi-mente nelle mani della volontà divina o coscienza universale, tutto ciò che accade è perfettamente adeguato, allora perchè Krisha sprona Arjuna a combattere? In ogni caso ciò che farebbe Arjuna sarebbe la volontà divina. Sempre nella Bhagavagita Arjuna domanda"ma da che cosa è l'uomo sospinto come per forza, da una realtà a lui estranea, come se, malgrado egli vi sia costretto da una qualche realtà trascendente? Krishna :"E' il desiderio accumulato che lo incita a comportarsi in tale modo. Nemico dell'uomo è denominato in molteplici maniere:desiderio smodato, passione sfrenata, richiamo della carne, peccato, errore.....Risiede nei sensi e nella mente per mezzo di questi avvolge la conoscenza confondendo lo spirito. Perciò il tuo primo dovere è di frenare i sensi, eliminando questa causa di errore che distrugge conoscenza e esperienza". Ma il paradosso è che non c'è nessuno che abbia la volontà di frenare i sensi perchè l'interlocutore di Krishna è Krishna stesso, non è questo a fondamento dell'Advaita Vedanta? Alla luce di questo insegnamento non ci dovrebbe neanche turbare chi utilizza le sacre scritture per compiere nefandezze, se così si possono definire, mettendoli sullo stesso piano di chi legge le sacre scritture per compiere atti disinteressati di bontà verso il prossimo. In poche parole Hitler e Madre Teresa sarebbero da mettere sullo stesso piano perchè entrambi espressione sella volontà divina, trascendendo il bene e il male ci si dovrebbe astenere dal giudizio, essere indifferenti e distaccati dalle cose mondane. "Il saggio realizza il proprio dovere senza dipendere dai risultati delle proprie azioni.."

I rischi connessi a visioni quali: "non c'è nulla da fare, nulla da determinare, nulla che serva" sono racchiusi nella parola "neo advaita".
Si perde di vista, secondo me, che l'approfondimento di una visione "asparsa" (senza sostegni-oggetti, senza opposizione) o "advaita" (oltre le polarità create dalle interazioni dei triguna) ha come risultato la conoscenza e la comprensione che ogni cosa in un dato tempo e spazio è al suo giusto posto e, conseguentemente, si acquisisce l'equanimità che non significa arido distacco, ma stabilizzazione nel silenzio dell'Essere, quello che è e non diviene.
Finchè prosegue la vita, prosegue la testimonianza, e la visione è sempre un'opera personale di chi ha voluto contemplare. Grandi saggi sono venuti per donarci, rinfrescata con parole nuove, la medesima visione. Una visione di gioia, non certo nichilista o implicante l'arrendersi supino al fato.
La tradizione metafisica ci mostra che chiunque abbia compreso l'unità dell'Essere, vive in un silenzio onnipervadente e dona amore.
Nel nostro caso, invece, è ancora in azione la volontà di apprendere, capire, sperimentare, confrontare, che è necessaria finchè non si è acquisita la chiarezza della piena consapevolezza di Quello, e conseguentemente pienamente superata la paura di morire, di perdere la propria individualità.
Attraverso il dialogo tra ricercatori possiamo sviluppare la non contrapposizione, il superamento della frammentazione dell'essere nelle sue molte maschere, e integrarle.

Spiega Raphael, richiamando il Vivekacudamani di Shankara, che " il discepolo cerca dal suo Maestro la realizzazione finale che è la realizzazione del Brahman. L’Istruttore inizia dicendo “Non sei il corpo fisico, non sei il corpo emotivo, né il corpo mentale, non sei il corpo super-conscio che è il corpo della buddhi e non sei nemmeno il corpo causale”.
Allora il discepolo si impaurisce un po’ perché se “io non sono questo, non sono quello e non sono l’altro, dove è la fine di questo?”.
Il Maestro permette allora al discepolo di comprendere che c’è una sola ultima Verità e Essa non ha nulla a che fare con i veicoli perché tutti i veicoli hanno appena il tempo di apparire che già sono andati via, sono già morti.
Naturalmente è molto difficile essere distaccati dai veicoli o perdere l’identificazione con i veicoli. Il Vedanta dice “tu non sei questo, tu sei Quello” “Tat tvam asi”.
Sembra molto semplice, ma purtroppo è molto difficile da realizzare, e questo è dovuto al fatto che c’è un inconscio collettivo che ci risucchia al livello delle forme.
Se osservate dal punto di vista dell’ “Uno-senza-secondo”, tutto ciò che avviene è al suo giusto posto, secondo il movimento dei guna e l’identificazione dell’ego con questo o quello, può solamente dare origine a quello che sta accadendo ora.
Un sentiero che ha che fare con i Grandi Misteri conduce alla pacificazione del cuore. "
(tratto da Intervista a Raphael).


Per il resto, osservare i mille rivoli in cui si frammenta l'Essere (Madre Teresa o Hitler tra i tanti, venuti e svaniti) non ci esime dal cercare di stabilizzare la nostra coscienza individuale (depurata dai contenuti limitanti e imprigionanti), che si sta esprimendo, unica e irripetibile, nella condizione spazio-temporale che condividiamo con altri enti-esistenti, nella Coscienza impersonale, e questa determinazione rientra nella nostra possibilità di essere pienamente e consapevolmente ciò che siamo, così come lo siamo.
E' l'unico libero arbitrio o libertà che abbiamo.

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Re: Io sono il Tempo

Messaggio da latriplice » 19/06/2019, 16:52

Massimo ha scritto:

"...allora perchè Krishna sprona Arjuna a combattere?"
Perché oltre ad essere un dovere dharmico che in quanto guerriero gli compete, Arjuna è convinto di essere l'artefice personale dell'azione e che disponga della facoltà di scelta se combattere o astenersi dalla lotta.

L'ipnosi collettiva divina di cui tutti sono soggetti, quella di fare la propria volontà e non la Sua.

61. Perché Ishvara, o Arjuna , risiede nella regione del cuore di tutti gli esseri e,
mediante il potere di maya, fa muovere tutte le creature come se ciascuna di
esse non fosse altro che una ruota di una grande macchina.
Capitolo 18


Tutto ciò nonostante gli avesse somministrato l'antidoto a questa ipnosi in piccole dosi:

27. Tutte le azioni sono impulsate dai guna (natura), ma chi è
Sottomesso al suo io pensa: “sono io che agisco”.
Capitolo 3


Comprendo la difficoltà al livello dell'intelletto ad accettare veramente questo insegnamento, quella di sviluppare un atteggiamento fatalista come evidenziato da Cielo con riferimento alla corrente neo-advaita. L’argomento fatalista si traduce in una domanda: "Se io non sono motivato dai frutti della mia azione, e, anzi, se non ho il libero arbitrio sulle mie azioni, perché dovrei lavorare?" La risposta è sorprendentemente semplice: non sarai in grado di essere inattivo per qualsiasi periodo di tempo, perché l’energia all’interno dell’organismo ti costringerà ad agire: agire secondo le caratteristiche naturali dell’organismo. In altre parole, agire o non agire è di per sé fuori controllo.

5. Né alcuno, anche per un istante, può rimanere senza agire,
perché inevitabilmente è sospinto alle azioni
dalle qualità (guna) di prakrti (natura).
Capitolo 3


Pertanto sia che tu diventi un devoto di Krishna indossando la tunica arancione cantando la Sua gloria o butti il testo che stai leggendo nel cesso, quella che si sta compiendo è unicamente la volontà divina.

7. O Dhanamjaya, non c'è niente che mi sorpassi, tutte le cose dipendono da ME,
come le perle (dipendono) dal filo (che le sostiene).
Capitolo 7


Tu in quanto ego non sei il problema, essendo strumento ed espressione della volontà divina. L'ego è semplicemente l’identificazione con un nome ed una forma come entità separata. La Sorgente, la Coscienza Impersonale, si identifica con ciascuna entità separata e opera attraverso quell’entità in quanto ego. L’ego è la coscienza identificata, la Sorgente è la Coscienza Impersonale.

29. Colui che comprende che tutte le azioni sono prodotte solo dalla prakrti (natura)
e altresì comprende che l'atman rimane non-agente, quello veramente vede.
Capitolo 13


Molti maestri dicono che l’ego è il nemico e che devi uccidere l’ego, ma non puoi semplicemente liberarti dall’ego. A chi viene detto di sbarazzarsi dell’ego? All’ego ovviamente. E l’ego non accetterà mai di sbarazzarsi di se stesso. Ciò che viene richiesto non è la libertà dall’ego, ma la libertà dell’ego dal senso di essere l’artefice dell’azione personale.

8. Colui che si è unificato e che conosce l'essenza dei fenomeni deve dire:
io non faccio in verità alcuna cosa. vedendo, udendo, toccando, odorando,
mangiando, camminando, dormendo, respirando.
Capitolo 5


Anche un saggio ha un ego. Più precisamente, il saggio vive come un ego, egli risponde se chiamato per nome. Tuttavia, la differenza tra l’ego di un saggio e l’ego di un uomo comune è che il senso di essere l’artefice dell’azione personale è stato completamente sradicato dell’ego del saggio.
Come diceva Ramana Maharshi, l’ego del saggio è paragonabile ai resti di una corda bruciata. Non può essere usata per legare qualcosa, ma conserva ancora la forma della corda come cenere.

19. Quando il veggente comprende che i soli agenti sono i guna (qualità)
e comprende ancora ciò che sta di là dai guna, egli entra nella mia essenza.
Capitolo 14


La domanda che ora sorge spontanea che ha del paradossale, che mi sembra tu abbia posto, è la seguente: se Dio-ishvara personificato da Krishna è il vero agente, perchè il jiva personificato da Arjuna è riluttante nel comprendere le sue istruzioni?

E' un dilemma della portata cosmica, se non uno scherzo della stessa magnitudine. Forse per incentivare la lila-ipnosi? La cura risolutiva credo si trovi nella seguente pillola finale:

18. Colui che vede il non-agire nell’agire e l’agire nel non-agire,
quegli è il più savio tra gli uomini, è uno che realizzato lo yoga,
che ha tutto compiuto.
Capitolo 4

ortica
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Re: Io sono il Tempo

Messaggio da ortica » 20/06/2019, 16:36

Massimo ha scritto:
19/06/2019, 0:03
Sto leggendo la Bhagavagita, ma la mia riflessione alla luce dei concetti dell 'advaita vedanta mi porta a dei paradossi intellettuali che non riesco facilmente a superare; se non siamo artefici delle nostre azioni in quanto siamo solo dei corpi-mente nelle mani della volontà divina o coscienza universale, tutto ciò che accade è perfettamente adeguato, allora perchè Krisha sprona Arjuna a combattere? In ogni caso ciò che farebbe Arjuna sarebbe la volontà divina.

La Bhagavadgita è un testo sacro e, in quanto tale, offre la possibilità di diverse chiavi di lettura ed interpretazione, che si rendono chiare a seconda del livello coscienziale del praticante e possono mutare col mutare di quello.
Tenendo presente che la superiore comprende l'inferiore.
La prima chiave, quella più semplice ed evidente, è letterale. In base a questo primo livello di comprensione la scena si svolge su un antichissimo campo di battaglia in cui saranno decise le sorti di Bharata (termine che potremmo tradurre come l'attuale India). Si tratta del momento centrale del Mahabharata, straordinaria epopea indiana e, se non si conosce la storia narrata in quel poema, risulta poi difficile capire le motivazioni dei comportamenti di Arjuna.
Arjuna, guerriero di nascita e attitudine, esita e si strugge perché di fronte a lui ci sono i suoi parenti, amici, maestri e lui non vuole ucciderli. Ma Krishna lo sprona: sono già morti e tu sei solo uno strumento dell'ordine universale.
Krishna non si limita a dirglielo ma glielo fa proprio vedere, mostrandosi nella sua totalità divina e causando in tal modo terrore e sgomento nel povero Arjuna che, per quanto grande, è soltanto un uomo e non riesce a sostenere quella visione, splendida e terrificante.
Dal punto di vista umano.
La comprensione che tutto si gioca su differenti punti di vista (o differenti piani) è fondamentale, in quanto si tratta dell'errore in cui più frequentemente cadono i cercatori che si avvicinano all'Advaita. In mancanza della capacità di districarsi fra i differenti piani e di comprendere la differenza fra i punti di vista, si cade facilmente negli errori caratteristici di quella moderna parodia che viene chiamata neo-advaita.
Tutto ciò che accade è volontà del Divino o comunque predestinato? Si, da un certo punto di vista, quello di chi ha trasceso l'identificazione egoica e contempla il flusso della legge di causa-effetto, il karma inevitabile. No, dal punto di vista di chi s'identifica con un nome-forma e crede, per questo, nel libero arbitrio.
Arjuna è, nella Bhagavadgita, ancora totalmente umano, sebbene abbia quale maestro nientepopodimeno che un avatar di Vishnu, non è un realizzato non-duale, uno sthitaprajna, ma uno come noi.
Quindi Krishna lo spinge al compimento del suo dharma di guerriero: il combattimento.
Ma quale combattimento? Quello esteriore, se rimaniamo su un livello di interpretazione letterale. Quello interiore se ci muoviamo su un ulteriore piano.
In questo caso ogni evento, ogni personaggio, assumono un altro significato: Arjuna, Krishna, Kurushetra, i Pandava, i Kaurava, tutto si muove nell'interiorità del campo che costituisce il cercatore.
Solo il Conoscitore del campo resta sempre ciò che è, qualunque sia il piano di riferimento.


Sempre nella Bhagavagita Arjuna domanda"ma da che cosa è l'uomo sospinto come per forza, da una realtà a lui estranea, come se, malgrado egli vi sia costretto da una qualche realtà trascendente? Krishna :"E' il desiderio accumulato che lo incita a comportarsi in tale modo. Nemico dell'uomo è denominato in molteplici maniere:desiderio smodato, passione sfrenata, richiamo della carne, peccato, errore.....Risiede nei sensi e nella mente per mezzo di questi avvolge la conoscenza confondendo lo spirito. Perciò il tuo primo dovere è di frenare i sensi, eliminando questa causa di errore che distrugge conoscenza e esperienza". Ma il paradosso è che non c'è nessuno che abbia la volontà di frenare i sensi perchè l'interlocutore di Krishna è Krishna stesso, non è questo a fondamento dell'Advaita Vedanta?
Certamente, è paradossale se si confondono i piani.
Non lo è più se ci si sofferma alla dinamica della relazione duale maestro/discepolo che è esattamente quella indicata dalla Bhagavadigita.
Non bisogna dimenticare, infatti, che il testo sacro è fondamentale non solo per il Vedanta Advaita nella visione di Adi Shankaracharya, ma per i più diversi culti indiani, compresi quelli più settari.
Inoltre, si tratta prevalentemente di un insegnamento volto al karma yoga e al bhakti yoga.

Alla luce di questo insegnamento non ci dovrebbe neanche turbare chi utilizza le sacre scritture per compiere nefandezze, se così si possono definire, mettendoli sullo stesso piano di chi legge le sacre scritture per compiere atti disinteressati di bontà verso il prossimo. In poche parole Hitler e Madre Teresa sarebbero da mettere sullo stesso piano perchè entrambi espressione sella volontà divina, trascendendo il bene e il male ci si dovrebbe astenere dal giudizio, essere indifferenti e distaccati dalle cose mondane. "Il saggio realizza il proprio dovere senza dipendere dai risultati delle proprie azioni.."
Certo, se si fosse saggi.
:D

Ma da un punto di vista più terra terra, è utile - a mio avviso - mettere in guardia i cercatori da interpretazioni deviate e devianti dei testi sacri.
Così come è opportuno che coloro che intendono compiere azioni a-dharmiche, sebbene da un punto di vista più elevato tutte concorrenti all'ordine universale, le compiano senza nascondersi dietro alibi di falsificate interpretazioni dei testi e dei simboli sacri di qualsivoglia tradizione, assumendo esclusivamente su di sè la responsabilità delle proprie azioni e delle relative conseguenze.
"È inevitabile che lo scandalo vi sia - scrive Guenon parafrasando il Vangelo - ma guai a quell'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo".

Massimo
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Re: Io sono il Tempo

Messaggio da Massimo » 20/06/2019, 19:25

ortica ha scritto:
20/06/2019, 16:36
Massimo ha scritto:
19/06/2019, 0:03
Sto leggendo la Bhagavagita, ma la mia riflessione alla luce dei concetti dell 'advaita vedanta mi porta a dei paradossi intellettuali che non riesco facilmente a superare; se non siamo artefici delle nostre azioni in quanto siamo solo dei corpi-mente nelle mani della volontà divina o coscienza universale, tutto ciò che accade è perfettamente adeguato, allora perchè Krisha sprona Arjuna a combattere? In ogni caso ciò che farebbe Arjuna sarebbe la volontà divina.

La Bhagavadgita è un testo sacro e, in quanto tale, offre la possibilità di diverse chiavi di lettura ed interpretazione.
La prima, quella più semplice ed evidente, è quella letterale. In base a questo primo livello di comprensione la scena si svolge su un antichissimo campo di battaglia in cui saranno decise le sorti di Bharata (termine che potremmo tradurre come l'attuale India). Si tratta del momento centrale del Mahabharata, straordinaria epopea indiana e, se non si conosce la storia narrata in quel poema, risulta poi difficile capire le motivazioni dei comportamenti di Arjuna.
Arjuna, guerriero di nascita e temperamento, esita e si strugge perché di fronte a lui ci sono i suoi parenti, amici, maestri e lui non vuole ucciderli. Ma Krishna lo sprona: sono già morti e tu sei solo uno strumento dell'ordine universale.
Krishna non si limita a dirglielo ma glielo fa proprio vedere, mostrandosi nella sua totalità divina e causando in tal modo grande terrore nel povero Arjuna che, per quanto grande, è soltanto un uomo e non riesce a reggere quella visione, splendida e terrificante.
Dal punto di vista umano.
La comprensione che tutto si gioca su differenti punti di vista (o differenti piani) è fondamentale, in quanto si tratta dell'errore in cui più frequentemente cadono i cercatori che si avvicinano all'Advaita. In mancanza della capacità di districarsi fra i differenti piani e di comprendere la differenza fra i punti di vista, si cade facilmente negli errori caratteristici di quella moderna parodia che viene chiamata neo-advaita.
Tutto ciò che accade è volontà del Divino o comunque predestinato? Si, da un certo punto di vista, quello di chi ha trasceso l'identificazione egoica e contempla il flusso della legge di causa-effetto, il karma inevitabile. No, dal punto di vista di chi s'identifica con un nome-forma e crede, per questo, nel libero arbitrio.
Arjuna è, nella Bhagavadgita, ancora totalmente umano, sebbene abbia quale maestro nientepopodimeno che un avatar di Vishnu, non è un realizzato non-duale, uno sthitaprajna, ma uno come noi.
Quindi Krishna lo spinge al compimento del suo dharma di guerriero: il combattimento.
Ma quale combattimento? Quello esteriore, se rimaniamo su un livello di interpretazione letterale. Quello interiore se ci muoviamo su un ulteriore piano.
In questo caso ogni evento, ogni personaggio, assumono un altro significato: Arjuna, Krishna, Kurushetra, i Pandava, i Kaurava, tutto si muove nell'interiorità del campo che costituisce il cercatore.
Solo il Conoscitore del campo resta sempre ciò che è.


Sempre nella Bhagavagita Arjuna domanda"ma da che cosa è l'uomo sospinto come per forza, da una realtà a lui estranea, come se, malgrado egli vi sia costretto da una qualche realtà trascendente? Krishna :"E' il desiderio accumulato che lo incita a comportarsi in tale modo. Nemico dell'uomo è denominato in molteplici maniere:desiderio smodato, passione sfrenata, richiamo della carne, peccato, errore.....Risiede nei sensi e nella mente per mezzo di questi avvolge la conoscenza confondendo lo spirito. Perciò il tuo primo dovere è di frenare i sensi, eliminando questa causa di errore che distrugge conoscenza e esperienza". Ma il paradosso è che non c'è nessuno che abbia la volontà di frenare i sensi perchè l'interlocutore di Krishna è Krishna stesso, non è questo a fondamento dell'Advaita Vedanta?
Certamente, è paradossale se si confondono i piani.
Non lo è più se ci si sofferma alla dinamica della relazione duale maestro/discepolo che è esattamente quella indicata dalla Bhagavadigita.
Non bisogna dimenticare, infatti, che il testo sacro è fondamentale non solo per il Vedanta Advaita nella visione di Adi Shankaracharya, ma per i più diversi culti indiani, compresi quelli più settari.

Alla luce di questo insegnamento non ci dovrebbe neanche turbare chi utilizza le sacre scritture per compiere nefandezze, se così si possono definire, mettendoli sullo stesso piano di chi legge le sacre scritture per compiere atti disinteressati di bontà verso il prossimo. In poche parole Hitler e Madre Teresa sarebbero da mettere sullo stesso piano perchè entrambi espressione sella volontà divina, trascendendo il bene e il male ci si dovrebbe astenere dal giudizio, essere indifferenti e distaccati dalle cose mondane. "Il saggio realizza il proprio dovere senza dipendere dai risultati delle proprie azioni.."
Certo, se si fosse saggi.
:D

Ma dal punto di vista, chiamiamolo così, più profano, è utile - a mio avviso - mettere in guardia i cercatori da interpretazioni deviate e devianti dei testi sacri.
Così come è opportuno che coloro che intendono compiere azioni a-dharmiche, sebbene da un punto di vista più elevato tutte concorrenti all'ordine universale, le compiano senza nascondersi dietro gli alibi di falsificate interpretazioni dei testi e dei simboli sacri di qualsivoglia tradizione, assumendo esclusivamente su di sè la responsabilità delle proprie azioni e delle relative conseguenze.
"È inevitabile che lo scandalo vi sia - scrive Guenon parafrasando il Vangelo - ma guai a quell'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo".
Anche se accettano punti di vista di vista differenti, allora da puri osservatori del dialogo tra Krisna e Arjuna, potremmo concludere facilmente quali dei due sia quello reale e quale quello illusorio, ma allora l’espressione “responsabilità delle proprie azioni”stride con il punto di vista reale. In altri termini rimango perplesso di fronte a chi mette in guardia dagli alibi creati dalle interpretazioni interessate dei test sacri,nel senso che anch’esse sono una manifestazione di ciò che è.

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Re: Io sono il Tempo

Messaggio da Fedro » 20/06/2019, 20:42

Quindi se sono preda della rabbia e uccido qualcuno, non è un alibi se non mi ritengo responsabile?
Non avere libero arbitrio non corrisponde col giustificare la nostra inconsapevolezza.
E difatti il Cammino ci esorta principalmente ad essere presenti a se stessi, ad aprire gli occhi

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Re: Io sono il Tempo

Messaggio da latriplice » 21/06/2019, 1:26

Fedro ha scritto:
20/06/2019, 20:42
Quindi se sono preda della rabbia e uccido qualcuno, non è un alibi se non mi ritengo responsabile?
Non avere libero arbitrio non corrisponde col giustificare la nostra inconsapevolezza.
E difatti il Cammino ci esorta principalmente ad essere presenti a se stessi, ad aprire gli occhi

"Quindi se sono preda della rabbia e uccido qualcuno, non è un alibi se non mi ritengo responsabile?"

Se non è la tua natura (geni e condizionamento), non sarai in grado di farlo in primo luogo.

In secondo luogo, questo concetto non ti assolve dalle tue responsabilità nei confronti della società in cui vivi per il semplice motivo che la società considererà ciò che è accaduto come la "tua" azione e ti punirà.

"Non avere libero arbitrio non corrisponde col giustificare la nostra inconsapevolezza."

Disponi di tutto il libero arbitrio del mondo, anche perché in assenza del libero arbitrio esercitato da ogni essere umano, il meccanismo della vita quotidiana non può funzionare, oltre che a concedere la possibilità a ciascuno di poter raccontare una storia fatta di scelte, sacrifici, rinunce e raggiungimenti personali ai futuri nipotini.

Certamente si dispone del libero arbitrio, ma su indagine si scopre che è privo di valore.

Per il semplice motivo che tutto ciò che l’essere umano può fare è decidere di attuare una determinata azione. In seguito può accadere una delle seguenti cose:

1. Si ottiene ciò che si era prefissato.

2. Non si ottiene ciò che si era prefissato.

3. Si ottiene qualcosa di completamente inaspettato, molte volte per il peggio, a volte per il meglio.

Quali delle tre cosa accada non è mai sotto il proprio controllo. Pertanto, a che serve il libero arbitrio se non si può controllare l’esito della propria azione? Da quanto sopra, e soprattutto dalla propria esperienza personale, risulta chiaro che il libero arbitrio non funziona nella “pratica” e nemmeno in “teoria”.

In teoria, quando indaghiamo su cosa è fondato il libero arbitrio giungiamo alla conclusione che concerne solo due fattori:

1. Materiale genetico

2. Condizionamento ambientale

Non hai avuto alcun controllo sull’ambiente geografico in cui sei nato e nemmeno la classe sociale ed il tenore di vita in cui sei cresciuto dalla quale hai ricevuto un costante condizionamento a casa, a scuola, in società e chiesa. Un incessante condizionamento … “devi fare questo … non devi fare quello o Dio ti punirà …”. Dal primo giorno un bombardamento continuo.

Pertanto, se il tuo libero arbitrio è basato su due fattori, i tuoi geni ed il tuo condizionamento, rispetto ai quali non hai mai esercitato controllo, allora può considerarsi veramente il tuo libero arbitrio?

Chi ha creato i tuoi geni ed il tuo condizionamento? Dio l’ha fatto. Pertanto, qualunque cosa tu pensi sia la tua volontà, in realtà è la volontà di Dio. E qual è il fondamento su cui si basa la volontà di Dio? Inoltre, e più importante, chi vuole conoscere il fondamento su cui si basa la volontà divina? Un semplice strumento? Un dipinto non può mai sapere perché il suo pittore lo ha dipinto.

Pertanto, in che modo vivo la mia vita? Dall’uomo delle caverne di 10.000 anni fa fino ad oggi, vivere quotidianamente significa affrontare le situazioni che la vita presenta. In una data situazione devi sempre decidere che cosa fare, ma è proprio qui che finisce il tuo cosiddetto libero arbitrio.

In altre parole, devi agire come se tu disponessi del libero arbitrio, ben sapendo che in realtà non ce l’hai.
Significa forse che siamo degli ipocriti? Niente affatto. Sappiamo benissimo che il sole non sorge e non tramonta ma è la terra che ci gira intorno e nonostante questo, non abbiamo problemi nel dire “alba” e “tramonto”. Allo stesso modo, dobbiamo agire come se avessimo il libero arbitrio sapendo che in verità è la volontà di Dio.

Con questa comprensione non avrai aspettative, poiché sai che i risultati delle tue azioni non sono mai sotto il tuo controllo. Nessuna aspettativa significa nessuna frustrazione, pertanto assenza di rimpianto del passato, di lamentela nel presente ed aspettativa nel futuro.

"E difatti il Cammino ci esorta principalmente ad essere presenti a se stessi, ad aprire gli occhi"

E per questo posso raccomandarti di fare una indagine personale. È abbastanza semplice e può essere fatto in qualsiasi momento della giornata ed in aggiunta a qualsiasi pratica che stai già svolgendo. Mettiti comodo in poltrona accertandoti che non verrai disturbato e se desideri, procurati la tua bevanda preferita. Poi passa in rassegna gli eventi del giorno. Mentre lo stai facendo ti accorgerai che quasi tutti gli eventi sono semplicemente accaduti e che non avevi controllo sulla loro insorgenza.

Eri solo un minuscolo fattore in un quadro enormemente complesso.

Quindi, tra gli eventi rimanenti, scegline uno che sei convinto fosse in realtà una tua azione. Approfondisci l’indagine chiedendoti se quella fosse davvero la tua azione. Hai deciso di compiere quella azione in un momento particolare? Oppure è successa perché hai avuto un pensiero … il cui sorgere ha causato l’esecuzione di quell’azione? Se quel pensiero non fosse sorto la tua azione conseguente non si sarebbe manifestata. E soprattutto ti renderai conto che non disponevi del controllo sull’insorgenza di quel pensiero. Pertanto, come puoi definirla come la tua azione?

Hai visto qualcosa, hai udito qualcosa, hai assaggiato qualcosa, hai annusato qualcosa, hai toccato qualcosa, a seguito della quale è avvenuta la tua azione. Se non ti fosse capitato di trovarti in un dato momento e luogo vedendo, udendo, assaggiando, annusando e toccando qualcosa, la tua azione non sarebbe avvenuta. Inoltre non avevi il controllo sull’essere lì in quel preciso istante perché succedesse qualcosa in seguito alle tue percezioni sensoriali.

Pertanto, se non disponi del controllo su ciò che ha prodotto la tua azione, come puoi chiamarla la tua azione?

Giungerai inevitabilmente alla conclusione che non è stata la tua azione. Continua a svolgere l’indagine sulle tue presunte azioni fino a che la comprensione non si approfondisca sempre di più e che sei totalmente convinto che nessuna azione è la “tua” azione.
E poi, la comprensione finale potrebbe accadere in un lampo: “Semplicemente non posso essere l’autore di alcuna azione”. Questa intuizione risolutiva può accadere in qualsiasi momento, non necessariamente mentre si sta svolgendo questa indagine. Una volta che avviene l’accettazione totale, non ci saranno più dubbi o domande.

“Gli eventi accadono, le azioni sono compiute, ma non c’è
alcun individuo che agisce”.
Il Buddha

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Re: Io sono il Tempo

Messaggio da Fedro » 21/06/2019, 6:03

Visto che non dipende nulla da me, allora l'invito ad indagare sull'insorgere che proponi, non posso scegliere di approndirlo, o vedere deliberatamente i condizionamenti determinanti.
Quindi anche approfondire la comprensione e pratica della Gita non dipende da me, e nemmeno esiste la possibilità di alibi e giustificazioni mentali, perché tanto sono lì se devono esserci, e adesso vado a drogarmi almeno sprofondo in una inconsapevole beatitudine senza sforzo, oltre questi insignificanti discorsi che non dipendono da me, ma sono solo una perdita di tempo per questo me che ne dice, nella mia completa innocenza di uccidere altri morti come fa Arijuna.
Anzi Krisha... ma che si sforza a fare e spiegare... tanto è lui che fa sempre e quindi se ne vada a benedire insieme al Buddha che mi comunica che gli eventi accadono lo stesso e quindi che serve saperlo se tanto è lo stesso ed evviva questo me che capisce tutto ed è più furbo di chicchessia ad avere compreso come funziona e così vi faccio le scarpe.
Prima però derubo una banca perché non ho tempo da perdere col lavoro, anzi di sicuro è ciò che vuole Dio visto che lo faccio, amen

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Re: Io sono il Tempo

Messaggio da latriplice » 21/06/2019, 6:28

Fedro ha scritto:
21/06/2019, 6:03
Visto che non dipende nulla da me, allora l'invito ad indagare sull'insorgere che proponi, non posso scegliere di approndirlo, o vedere deliberatamente i condizionamenti determinanti.
Quindi anche approfondire la comprensione e pratica della Gita non dipende da me, e nemmeno esiste la possibilità di alibi e giustificazioni mentali, perché tanto sono lì se devono esserci, e adesso vado a drogarmi almeno sprofondo in una inconsapevole beatitudine senza sforzo, oltre questi insignificanti discorsi che non dipendono da me, ma sono solo una perdita di tempo per questo me che ne dice, nella mia completa innocenza di uccidere altri morti come fa Arijuna.
Anzi Krisha... ma che si sforza a fare e spiegare... tanto è lui che fa sempre e quindi se ne vada a benedire insieme al Buddha che mi comunica che gli eventi accadono lo stesso e quindi che serve saperlo se tanto è lo stesso ed evviva questo me che capisce tutto ed è più furbo di chicchessia ad avere compreso come funziona e così vi faccio le scarpe.
Prima però derubo una banca perché non ho tempo da perdere col lavoro, anzi di sicuro è ciò che vuole Dio visto che lo faccio, amen
Sei in buona compagnia. Pensa che se non fosse stato per la mancanza di comprendonio di Arjuna, la Baghavad Gita si sarebbe concluso al primo capitolo. Pertanto è stata una benedizione che non ci azzeccava una mazza almeno per un pò, dandoci la possibilità di capire a mò di metafora quale dramma esistenziale si consumava sul campo di Kurusetra e farne una trasposizione personale della vita quotidiana.

Ovviamente per grazia Divina.

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Re: Io sono il Tempo

Messaggio da Fedro » 21/06/2019, 7:07

Ma tanto la possibilità di capire o meno non dipende da me, quindi non mi serve comunque questo ragionamento...o no?
E figuriamoci il karma yoga... che gioco è se non dipende comunque da me?

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Re: Io sono il Tempo

Messaggio da Fedro » 21/06/2019, 8:08

PS la mancanza di comprensione, la riluttanza ad agire, la comprensione, l'azione di Arjuna... pertanto le ha decise tutte Krishna:
forse Questi si annoiava a non fare niente e qualche gioco doveva pure inventarselo

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Re: Io sono il Tempo

Messaggio da Fedro » 21/06/2019, 9:50

PPS seriamente parlando...non possiamo porci al posto dell'assoluto nè nei suoi panni.
Quindi voler disquisire sulle intenzioni del Gioco non porta molto lontano, ma sarà evidentemente anche questo un suo Gioco..
Diciamo che alla fine ci si stanca di parlare di ciò che non ci riguarda, quindi cade pure la disquisizione concettuale sul libero arbitrio perchè a nulla serve:
se lo vedo, c'è e mi illudo di usarlo, altrimenti realmente non si presenta e constato che non serve convincere la mente o dover convincere altri.
A questo ci pensa eventualmente Krishna.
Oppure si prende atto che stiamo ancora giocando con gli specchi della mente che ci lancia Krishna o il Dio di turno (pure la Grecia ne ha una vera costellazione)

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