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Riflessioni sul Dharma

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cannaminor
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Riflessioni sul Dharma

Messaggio da cannaminor » 03/06/2017, 10:32

«Meglio il proprio dharma, quantunque imperfettamente adempiuto, che il dharma degli altri, anche se perfettamente compiuto. È preferibile morire adempiendo il proprio dharma ché quello di un altro produce danno» (Bhagavadgitā: III, 35)

Con riferimento all'articolo di Raphael, Dharma, pubblicato sul sito Vedanta.it e al sutra di cui sopra (cui l'articolo trae spunto) volevo proporre alcune riflessioni sul tema del Dharma, e nello specifico al "dharma altrui", ed ancor più al dharma altrui del "maestro", ossia alla nota locuzione in uso di molti discepoli del dire "condividere il dharma del maestro".

Quindi nello specifico volevo parlare di questo, di cosa significhi, cosa voglia dire e se ne ha un senso compiuto, il dire condividere il dharma di qualcuno, di solito in riferimento ad un maestro o guida.

Senza voler entrare nel merito di un rapporto discepolo-maestro, oltremodo complesso e difficile da fuori da valutare e giudicare, resterei sul discorso più generale del condividere il dharma di qualcuno (che poi per noi questo qualcuno sia maestro, istruttore, guida, riferimento e quant'altro è altro discorso).

La prima che mi viene da pensare in riferimento al condividere (il nostro dharma) con quello di qualcuno (altro da noi) è che bisognerebbe intanto conoscere i due termini di condivisione, il nostro dharma e quello altrui. Quindi due domande che chiedono due risposte ben chiare onde procedere.

1. Conosciamo il nostro dharma? Tanto da poterlo conformare-condividere con quello altrui?

2. Conosciamo il dharma altrui cui ci vogliamo conformare e condividere con?

Se non si conoscono e hanno ben chiari questi due parametri mi viene difficile pensare che ci possa essere alcuna condivisione di.

E comunque, ammesso che si sappia e sia chiaro quale sia il nostro di dharma, perchè un dharma ce l'abbiamo già, qui ora e adesso, mi domando perchè questo deve essere condiviso o si scelga di condividerlo con quello altrui, fosse anche quello di dio in terra?

A meno che i due dharma non fossero già pre-destinati ad una condivisione, quindi essere stati scelti a monte da entrambi gli interessati, fatico un pò a credere ad un dharma condiviso in corsa di esecuzione. E comunque quale che sia la condivisione, se condivisione è, è da parte di entrambi, nel senso che non è un solo dharma che si va a sovrapporre a mò di fotocopia a quello di un altro, che non avrebbe un gran senso, quanto che siano i due dharma a trovarsi in una certa misura sovrapposti e quindi coincidenti-condivisibili di una certa fetta, che potrebbe anche essere totale, nel qual caso si tratterebbe di una condivisione totale del dharma.

Quello che io colgo dall'articolo di Raphael e da mia esperienza di vita è che il dharma, quale che sia in significato che gli si vuole dare ha e trova riferimento nella persona che lo vive. Da cui il mio dharma, il tuo dharma, il suo dharma. Poi posso anche comprendere che ci siano dharma collettivi di varia natura, etnica, nazionale, di gruppo, sociale, di genere etc, ma sono varianti comunque che partono sempre dal dharma del singolo individuo, quel dharma di cui lui\lei è tenuto a rispondere, karma-dharma.

Sostenere una condivisione di dharma, sia in riferimento ad un altro singolo soggetto (tipo un maestro o fratello maggiore) o di gruppo, di sangha, di cenobio e oltre, vuol comunque sempre voler dire (a mio vedere) che il nostro di dharma trova per sua intrinseca natura e maturità una fascia-misura di sovrapposizione e quindi condisione-coincidenza con un altro dharma da cui la condivisione del dharma di cui si parla.

Ma non è modificando le parti che la si ottiene, non è una scelta che ieri non era e oggi dico "voglio condividere il mio dharma con quello altrui" per cui mi altero e modifico nella mia natura e dharma e karma per combaciare con quello altrui.

Io sono ciò che sono, ora e adesso, e questo vuol dire che ora e adesso io sono e vivo un dharma a me inerente, un karma altrettanto a me inerente, ed un'infinità di altri attributi e modi d'essere a me inerenti, e quindi o questi già sono coincidenti e condivisi con quelli di qualcun'altro o altrimenti sarebbe una violenza e manipolazione il volerli modificare, o come dice il sutra meglio il proprio dharma, quantunque imperfettamente adempiuto, che il dharma degli altri, anche se perfettamente compiuto. È preferibile morire adempiendo il proprio dharma ché quello di un altro produce danno.

Mauro
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Re: Riflessioni sul Dharma

Messaggio da Mauro » 03/06/2017, 16:54

Io non credo di conoscere il mio dharma.
Magari lo conosce il mio maestro (ma non so ancora chi sia costui).
O forse un luogo di condivisione delle proprie esperienze di vita dovrebbe aiutare a ricostruirlo questo dharma che non si conosce, chissà...

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Re: Riflessioni sul Dharma

Messaggio da cannaminor » 03/06/2017, 21:54

Mauro ha scritto:
03/06/2017, 16:54
Io non credo di conoscere il mio dharma.
Magari lo conosce il mio maestro (ma non so ancora chi sia costui).
O forse un luogo di condivisione delle proprie esperienze di vita dovrebbe aiutare a ricostruirlo questo dharma che non si conosce, chissà...
<<Alcuni devoti ritengono che il dharma consista nella diffusione delle proprie opinioni sul culto o Maestro che seguono, perché credono che questo cambierà la società. Compito di un devoto, di un ricercatore è giungere alla meta prescritta, non certo la diffusione del metodo se ancora non ha raggiunto la meta. Potremmo dire che è questa la differenza fra il seguace e il discepolo-devoto, il primo si occupa più della diffusione di un insegnamento secondo le proprie interpretazioni piuttosto che praticarlo, il secondo vive la determinazione di realizzare l’insegnamento prima di svolgere una qualsiasi azione non richiesta. Il dharma di un devoto, di un discepolo dovrebbe essere quello (dopo aver ottemperato agli altri compiti dharmici) di realizzare l’insegnamento del Maestro o quanto prescritto nel proprio culto, prima di dedicarsi a cambiare il mondo o salvare l’umanità dalle tenebre.
[...]
Il dharma di un aspirante discepolo nei confronti di sé stesso è la realizzazione della meta indicata dal Maestro, nei confronti altrui, invece, è di esporre, a chi chieda, le parole del Maestro attraverso la propria pratica; lo sfoggio di erudizione, cultura e buona memoria raramente aiuta chi realmente necessita di aiuto spirituale.>>

Tratto da Satya Sai Baba ed il Vedanta Advaita capitolo sul Dharma, Prema Dharma, Eḍ I Pitagorici, pag 95-98

Allora siamo in due a non conoscere il proprio dharma, se a questo ci aggiungi che anche io non conosco o conoscevo quello del riferimento e per di più se lui conoscesse il mio (e se lo conosceva non me l'ha mai detto..) come vedi le cose che si sconosco aumentano esponenzialmente.

Però se a dharma diamo significato di presa di coscienza della propria natura (divina), conformità alla propria natura, allora si torna sempre al solito discorso, che per ottemperare il proprio dharma bisogna conoscersi, conoscere e realizzare la propria natura.

Nella parole di cui sopra di PremaDharma si legge "Il dharma di un devoto, di un discepolo dovrebbe essere quello (dopo aver ottemperato agli altri compiti dharmici) di realizzare l’insegnamento del Maestro"...."Il dharma di un aspirante discepolo nei confronti di sé stesso è la realizzazione della meta indicata dal Maestro", mentre solo dopo si aggiunge, "nei confronti altrui, invece, è di esporre, a chi chieda, le parole del Maestro attraverso la propria pratica; lo sfoggio di erudizione, cultura e buona memoria raramente aiuta chi realmente necessita di aiuto spirituale."

Forse ai più sfuggono due tratti e condizioni, "a chi chieda" e "attrraverso la propria pratica" che vuol anche dire secondo proprio esempio.

Esporre a chi chiede le parole del maestro; a chi chiede, a chi ne fa domanda esplicita e diretta, non a muzzo e a caso sparando nel mucchio, perchè altrimenti quello è proselitismo ed evangelizzazione. E comunque le parole del maestro vanno date attraverso la propria pratica, esempio e testimonianza, non buttate là come cronache e reportage spirituali seppur di autorevole fonte.

A chi chiede aiuto spirituale, non serve lo sfoggio di erudizione, cultura e buona memoria, serve che ci si metta di proprio con la propria faccia e ci si testimoni secondo il proprio esempio e pratica vissuta. Questo è dharma, questo è ottemperare al proprio dharma. Essere se stessi secondo l'insegnamento ricevuto e messo in pratica (realizzato).

Questo almeno leggo dalle parole di PremaDharma non solo qui e non solo le sue.

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Re: Riflessioni sul Dharma

Messaggio da Mauro » 04/06/2017, 8:31

Anzitutto, per ottemperare a quanto affermato da PD bisogna avere un maestro. Bisogna accordargli fiducia, cioè credere senza ombra di dubbio che egli conosca il nostro cammino ed anche la relativa destinazione: il nostro dharma, insomma.
Cosa piuttosto difficile, ammetterai, anche perchè non sono propenso a gettarmi tra le braccia (spirituali) di nessuno, almeno non completamente.
Preferisco orientarmi più verso quanto affermava il filosofo inglese Francis Bacon, che ricordava che non esiste la menzogna, ma una verità mal detta.
Quando si confrontano più menzogne, il loro fondersi ne elide la parte non vera svelando la verità.
È nel confronto che si scopre il proprio dharma, IMHO.

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Re: Riflessioni sul Dharma

Messaggio da Fedro » 04/06/2017, 9:05

Però un maestro (almeno nel senso tradizionale) non è colui che ti indica i passi da fare, né chi ti dice chi sei; ti offre eventualmente gli strumenti per camminare coi tuoi piedi e di conoscerti.
Dunque figuriamoci se si permette di interpretare il tuo dharma o di crederci, addirittura.

Mauro
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Re: Riflessioni sul Dharma

Messaggio da Mauro » 04/06/2017, 9:26

Se,

cito:
"Il dharma di un devoto, di un discepolo dovrebbe essere quello (dopo aver ottemperato agli altri compiti dharmici) di realizzare l’insegnamento del Maestro",

vuol dire che il Maestro conosce il dharma del suo discepolo, o no?

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Re: Riflessioni sul Dharma

Messaggio da cannaminor » 04/06/2017, 9:37

Mauro ha scritto:
04/06/2017, 8:31
Anzitutto, per ottemperare a quanto affermato da PD bisogna avere un maestro. Bisogna accordargli fiducia, cioè credere senza ombra di dubbio che egli conosca il nostro cammino ed anche la relativa destinazione: il nostro dharma, insomma.
Cosa piuttosto difficile, ammetterai, anche perchè non sono propenso a gettarmi tra le braccia (spirituali) di nessuno, almeno non completamente.
Preferisco orientarmi più verso quanto affermava il filosofo inglese Francis Bacon, che ricordava che non esiste la menzogna, ma una verità mal detta.
Quando si confrontano più menzogne, il loro fondersi ne elide la parte non vera svelando la verità.
È nel confronto che si scopre il proprio dharma, IMHO.
Quella prospettata da Premadharma in quelle parole era una possibilità, così come è una possibilità il rapporto discepolo-maestro, una possibilità non un must o obbligatorietà. Un dharma ce l'ha anche chi non ha un maestro ovviamente, e non si necessita per forza di un maestro per conoscerlo, così come non si necessita per forza di un maestro per conoscer-si. Che poi venga ripetutamente detto a più voci che un maestro di fatto nella parte finale del cammino sia un necessità quasi imprescindibile, sarà anche, io te la ripeto per come letta e testimoniata da altri, ma ciò non toglie come già detto e questo invece lo penso e credo io di mio, che non c'è niente e nessuno che impedisca o possa impedire a chiunque di conoscersi nella\della sua natura divina (volendola chiamare così). E se dharma, tra i tanti significati che gli si da, vuol anche dire realizzare la propria natura divina, allora la strada è una e una soltanto.

Che sia nel confronto che si scopre il proprio dharma può essere vero, non lo so, non ne ho molta esperienza in tal senso; confronto immagino tu ti riferisca all'altro da noi in tutta la sua estensione. Dire che "Quando si confrontano più menzogne, il loro fondersi ne elide la parte non vera svelando la verità." somiglia un pò al neti neti in cui a forza di discriminare ciò che reale non è (elidere il non-vero, non-reale) svela ciò che reale è (il reale, la verità).

Il che è vero e funzionale come metodo e pratica spirituale, col solo distinguo (rispetto a quello che dici tu o che credo tu voglia dire, poi me lo confermi o meno) che il confronto in atto (discriminatorio) avviene secondo mia esperienza nella coscienza di colui che discrimina e non nell'altro da noi o per il tramite dell'altro da noi.

Diciamolo altrimenti, per cercare di spiegarmi; se io mi confronto con te su qualcosa, quindi io soggetto mi confronto con te oggetto (altro da me), il confronto in effetti che avviene e accade, avviene tutto dentro di me, nel senso che l'oggetto confrontato (tu) è vissuto ed esperito da me, dal mio mentale, dalla mia percezione, dal mio immaginario e persino dal mio pre-giudizio. Quindi in un certo senso tu oggettivamente non esisti, esiste invece un mauro che io vedo, percepisco, esamino, confronto, etc etc, che non è detto per nulla sia davvero il mauro esistente e reale, o anche solo il mauro che altri vedono e percepiscono e conoscono.

Questo per dire che il confronto con l'altro e l'altro da me, quale che sia, è sempre e comunque un confronto interiore, vissuto nella mia interiorità e coscienza, nella mia lettura ed interpretazione del mondo, etc. Posso da questo confronto trarne indizi discriminatori e verità svelate?

Sì puo darsi, se si riesce a confrontare la percezione altrui con la propria stessa interiorità alle volte si riesce a cogliere barlumi di verità, nel senso che molto spesso le percezioni altrui sono in risonanza ed evidenza con i propri aspetti meno noti e occulti, quindi sono buoni indizi di ricerca interiore di noi stessi. Spesso ciò che ci infastidisce e altera dell'altrui è qualcosa che entrando in risonanza in noi ci crea proprio quell'alterazione e disturbo di fastidio e sofferenza, e questo sia nel bene che nel male.

È molto più facile vedere il fuori che il dentro, da un punto di vista mentale, essendo il mentale perennemente proiettato sull'esterno, e quindi in un certo senso, sfruttando proprio questa sua natura della mente di porsi sempre estrovertita e sull'esterno e sull'altro da noi, traiamo indizi da ciò che percepiamo sull'esterno di fastidio e insofferenza e da lì possiamo capire che quel fastidio e insofferenza che insorge in noi dal percepire una certa realtà esterna, in effetti è risonanza di qualcosa che già abbiamo e siamo dentro e che ancora non abbiamo scoperto, conosciuto, compreso e integrato.

Intendiamoci è un mero meccanismo psicologico, di introspezione psicologica di sè, non sto dicendo nulla di pìù, peraltro noto e stranoto da secoli, quindi lo sto solo ricordando. Ricordo quindi che il mondo è specchio di ciò che siamo dentro, e che quindi se ci è difficile guardare dentro direttamente, per un qualsiasi motivo, può tornare utile guardare il mondo avendo a mente che ciò che si sta guardando di altro non è che la nostra stessa immagine deformata dalla nostra mente. Se vedi pagliuzze negli occchi altrui, dovresti immaginare e intuire che hai un trave nel tuo di occhio interno, ed che è proprio il tuo trave nel tuo occhio che ti fa vedere e percepire la pagliuzza nell'occhio altrui. È come detto, un metodo efficace, di indagine interiore, guardando nello specchio del mondo-altro da noi, ci vediamo noi stessi. Ci si guarda per il tramite del mondo, ma la premessa perchè sia utile è di sapere, avere consapevolezza, che ciò che si sta guardando non è oggettivo e reale, ma la nostra stessa immagine per il tramite della visione della nostra stessa mente.

In questo senso e con queste premesse allora può anche darsi che il confronto col mondo torni utile ed efficace alla nostra stessa conoscenza, di noi stessi, come da principio base. È la via indiretta, ovviamente altra e diversa da quella diretta, ma alla fine sempre lì giunge, a noi stessi.

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Re: Riflessioni sul Dharma

Messaggio da Fedro » 04/06/2017, 9:53

Mauro ha scritto:
04/06/2017, 9:26
Se,

cito:
"Il dharma di un devoto, di un discepolo dovrebbe essere quello (dopo aver ottemperato agli altri compiti dharmici) di realizzare l’insegnamento del Maestro",

vuol dire che il Maestro conosce il dharma del suo discepolo, o no?
Per me significa : che hai riconosciuto l'insegnamento del Maestro, che questo insegnamento riguardi le indicazioni che portano verso se stesso, dunque al compimento di te stesso, ovvero di realizzarti.
Dove si evince che il Maestro ha riconosciuto il tuo dharma?

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Re: Riflessioni sul Dharma

Messaggio da cannaminor » 04/06/2017, 10:01

Fedro ha scritto:
04/06/2017, 9:05
Però un maestro (almeno nel senso tradizionale) non è colui che ti indica i passi da fare, né chi ti dice chi sei; ti offre eventualmente gli strumenti per camminare coi tuoi piedi e di conoscerti.
Dunque figuriamoci se si permette di interpretare il tuo dharma o di crederci, addirittura.
"Il dharma di un aspirante discepolo nei confronti di sé stesso è la realizzazione della meta indicata dal Maestro"
"Il dharma di un devoto, di un discepolo dovrebbe essere quello (dopo aver ottemperato agli altri compiti dharmici) di realizzare l’insegnamento del Maestro"

Realizzare la meta indicata dal maestro o realizzare l'insegnamento del maestro è la stessa cosa. In entrambi i casi il maestro dà delle indicazioni, una direzione (il magistero non va oltre questo limite, di additare la via e il viaggio) i passi sono i tuoi, e dove metti i piedi pure. Nessun maestro ti indicherà dove mettere il singolo piede e passo, ma sempre e solo una direzione, la via e il viaggio, i passi e dove metti i piedi sono tua responsabilità e sadhana.

Il dharma, per come l'ho inteso in riferimento ad un maestro è quanto dice la frase di cui sopra, la realizzazione della meta-insegnamento indicata dal maestro, che di solito è e coincide con la realizzazione della propria stessa natura (conosci te stesso).

«Lo scopo del dharma è far sì che il jlva (anima individuata) abbandoni l’attaccamento al mondo e alle sue illusioni per prendere coscienza della realtà o, piuttosto, per rifiutare ciò che prende ora per vero, realizzando in tal modo la propria identità» (La Legge Eterna, pag 73)

«Il Dharma fondamentale dell’uomo è l’effettiva presa di coscienza della propria natura divina, che permea tutti gli esseri; dal Dharma basilare si diramano tutte le articolazioni del Dharma di ogni situazione esistenziale, nei confronti dell’individuo e di tutti gli esseri che sono con lui in contatto fisico, di parola e di pensiero» (Vidya, La Scienza Divina, pag 74)

Quindi il maestro non interpreta il tuo dharma, il maestro da delle indicazioni, una direzione di cammino e viaggio, tuo dharma è realizzarlo; è nella realizzazione del suo insegnamento e della tua "natura divina" che compi il tuo dharma. Questo sempre in riferimento ad un rapporto discepolo-maestro.

PS Le ultime due citazioni sono sempre prese dal libro Satya Sai Baba e il Vedanta Advaita, di Prema Dharma, capitolo sul Dharma, pag 91

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Re: Riflessioni sul Dharma

Messaggio da cielo » 04/06/2017, 13:57

Trovo difficile rflettere sul dharma perchè la parola è densa di significati e non ha una traduzione univoca, si possono prendere varie strade per parlarne.
Letteralmente il dharma è "ciò che tiene unito", "ciò che sostiene" dunque è la legge divina universale che è il fondamento e l'espressione di quell'Ordine cosmico (ṛta) che compensa, nell'equilibrio stabile e imperturbabile del puro Essere, tutti i movimenti e gli apparenti squilibrii o disarmonie parziali.
Calato nella realtà individuale il dharma è l'aderenza alla propria natura e al proprio stare nel mondo, incarnando i diversi ruoli che si assumono.
E' orientare la propria azione all'armonia, alla rettitudine, alla non violenza, all'ordine naturale.
Come faccio a capire se sto agendo nel dharma?
Intanto se sto consapevolmente nel ruolo che le circostanze mi portano a rivestire. Indosso una maschera, ma non sono quella maschera, poi me la tolgo e ne indosso un'altra.
Quando sono madre, provvedo ai figli, quando lavoro in ufficio indosso un'altra maschera consona alle azioni da svolgere.
Agisco secondo necessità e sempre al meglio delle mie capacità "interpretative" del ruolo rivestito. Così l'azione sarà pura e diretta, armonica al presente e rispondente al dovere da svolgere.
Il problema è che a volte si desidera fortemente rivestire un ruolo che la vita non ci ha assegnato, e quindi c'è una sorta di forzatura, si cerca di diventare ciò che non si è, si interrompe un fluire naturale nell'azione per pilotarla secondo ideali o scopi che abbiamo immaginato, oppure si gioca un gioco sconosciuto senza davvero averne compreso le regole.

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Re: Riflessioni sul Dharma

Messaggio da Mauro » 04/06/2017, 16:20

cannaminor ha scritto: Questo per dire che il confronto con l'altro e l'altro da me, quale che sia, è sempre e comunque un confronto interiore, vissuto nella mia interiorità e coscienza, nella mia lettura ed interpretazione del mondo, etc.
Penso anch'io sia così.

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Re: Riflessioni sul Dharma

Messaggio da NowHere » 06/06/2017, 16:24

Secondo me la storia del discepolo che ha il Dharma della diffusione dell'insegnamento del maestro rischia di sfociare nel proselitismo.
Se torniamo al Bhagavad Gita vediamo che il Dharma di Arjuna è quello del guerriero e di certo Krishna non lo sprona a diffondere il proprio insegnamento ma lo sprona ad adempiere a questo Dharma, a combattere senza dubbi o esitazioni.
Io l'ho sempre interpretato così il Dharma: la propria funzione nel mondo; la sadhana e la realizzazione dell'essere sono al di là, sono come una​ sorta di Dharma interiore.

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Re: Riflessioni sul Dharma

Messaggio da Mauro » 06/06/2017, 16:44

Eh, conoscerla la propria funzione nel mondo.

Io direi piuttosto: "assolvere al meglio le proprie funzioni qualunque esse si presentino lungo il cammino".

Io non so se sono sudra, kshatriya o brahmana.
Ma cerco di fare bene ciò che il destino mi presenta.
Ciò significa saper dire anche, nel caso in cui il compito esuli le mie capacità: "no, grazie".

Per quello ritengo l'esempio di Arjuna a Kurukshetra fuorviante, perchè limitato ai tempi antichi e alle tradizioni indigene, e non è assolutamente universalizzabile, come gran parte della dottrina hindu, peraltro.

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Re: Riflessioni sul Dharma

Messaggio da Mauro » 06/06/2017, 19:12

Mauro ha scritto: Io direi piuttosto: "assolvere al meglio le proprie funzioni qualunque esse si presentino lungo il cammino".
E aggiungo: "portare a termine ciò che si è iniziato".

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Re: Riflessioni sul Dharma

Messaggio da cielo » 06/06/2017, 20:31

Mauro ha scritto:
06/06/2017, 19:12
Mauro ha scritto: Io direi piuttosto: "assolvere al meglio le proprie funzioni qualunque esse si presentino lungo il cammino".
E aggiungo: "portare a termine ciò che si è iniziato".
e aggiungo, se posso: esprimere la nostra natura, facendo fruttificare i nostri talenti che sono i doni ricevuti dalla vita (insieme alle vasana che ci fanno tribolare).
Il dharma non è un elenco di priorità, o forse in parte lo è, ma è nell'azione presente che si apprende qual'è la voce in elenco che eventualmente si è esaurita, consumata dall'adempimento consapevole, in accettazione (stoica) di ciò che c'è. In questo onere, i passaggi, gli stadi, nella vita che progressivamente ci spogliano dell'inutile nel cammina, possono orientarci verso il centro immobile, mentre si scorre tra ud dharma e l'altro.

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Re: Riflessioni sul Dharma

Messaggio da Mauro » 06/06/2017, 20:38

Il problema è che per esprimere la nostra natura, bisogna che la conosciamo.
La conosciamo?

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Re: Riflessioni sul Dharma

Messaggio da cielo » 06/06/2017, 21:19

Mauro ha scritto:
06/06/2017, 20:38
Il problema è che per esprimere la nostra natura, bisogna che la conosciamo.
La conosciamo?
mi conosco momento per momento, ma non mi trovo nella continuità.
Non posso definire "me", solo sperimentarmi.

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Re: Riflessioni sul Dharma

Messaggio da Fedro » 06/06/2017, 21:31

cielo ha scritto:
06/06/2017, 21:19

mi conosco momento per momento, ma non mi trovo nella continuità.
Non posso definire "me", solo sperimentarmi.
Mi corrisponde.
Non concordo invece con la triplice che pone il primato della conoscenza a discapito dell'esperire riguardo la nostra natura essenziale.
Per me, invece, in tal caso l'esperire coincide esattamente col conoscere, per quanto non risponda alle coordinate mentali di spazio, tempo, contenuto.

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Re: Riflessioni sul Dharma

Messaggio da NowHere » 06/06/2017, 23:46

Faccio un esempio personale: io mi sono sempre considerato primariamente un musicista.
Sin dalla più tenera età ho composto nella mia mente melodie ed ho sempre avuto un innato senso del ritmo. Mi sono sempre sentito fortemente portato verso la musica, ed all'età di 13 anni iniziai lo studio della chitarra e diventò un'ossessione in senso positivo: diventai bravo in breve tempo.
Quando lessi nella Bhagavad Gita il capitolo in cui si parlava del Dharma, seppi intuitivamente e senza alcun dubbio che il mio Dharma era la Musica.
In seguito però, con gli anni, le necessità della vita, e le difficoltà che mediamente incontra in questo paese chi vuole fare musica, sono uscito dal mio dharma di musicista: continuo a suonare ma non ne ho fatto un lavoro, non ne ho fatto la mia strada.
A ciò ha contribuito - in modo alquanto ironico - anche la ricerca spirituale: per un lungo periodo ho trascurato la musica per perseguire in modo forse troppo ossessivo la ricerca spirituale.
Essendo uscito dal mio dharma di musicista, nella mia vita c'è adesso come una divisione tra ciò che veramente sono (parlo di indole, non di essere) e ciò che faccio: per vivere sono impiegato. Non sono affatto infelice, sono soddisfatto della mia vita e del mio impiego. Continuo a suonare e a scrivere cose mie ma è come se ci fosse una lieve insoddisfazione di fondo per non aver realizzato e dato spazio al mio talento, come diceva Cielo.

Mauro
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Re: Riflessioni sul Dharma

Messaggio da Mauro » 07/06/2017, 7:48

Ecco, secondo me se attualmente fai l'impiegato che suona ogni tanto, e magari, per esempio, fai il volontario in una onlus e dai da mangiare ai gattini in strada, quello è il tuo dharma al momento.
Se magari in internet ti offrono di fare il foreign fighter a combattere in Siria, e tu rispondi "no, grazie", evidentemente (e aggiungerei per fortuna), quello non era il tuo dharma.
Diciamo che, sebbene Dio (o Ishvara) abbia il dono della prescienza e conosca il tuo dharma, tu non lo conosci: lo attui.

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