Il gruppo che cura Vedanta.it inizia ad incontrarsi sul web a metà degli anni 90. Dopo aver dialogato su mailing list e forum per vent'anni, ha optato per questo forum semplificato e indirizzato alla visione di Shankara.
Si raccomanda di tenere il forum libero da conflittualità e oscurità di ogni genere.
Grazie

Karma - riflessioni

La via dell'azione comprende le pratiche ripetute: hatha yoga, mantra yoga, laya yoga, sabda yoga, tantra.
cielo
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Re: Karma - riflessioni

Messaggio da cielo » 05/06/2017, 22:17

Mauro ha scritto:
05/06/2017, 20:02
cielo ha scritto: ringrazio le ciliege, dimenticando che esse sono nate per servire me che le mangio, quindi come credere che alle ciliege gliene freghi qualcosa di me che le ringrazio e dico in giro quanto sono buone?
Ma che bell'insegnamento hai trasmesso, cielo!
Grazie.

Ho un albero di ciliegie molto grande e vecchio. Quest'anno ne ha fatte moltissime ma molto, molto in alto.
Sony, venutomi a trovare, è salito sulla scala e ne ha prese un pò, ma non potendo andare più su mi ha detto: "non ti dispiace lasciarle sull'albero"?
Gli ho risposto: "no, perchè se non ci arrivo io, le mangeranno gli uccellini e i vari insetti: le ciliegie non si offenderanno per questo". :)
esatto, era quello che cercavo di dire. Che nessun servizio chiede un ringraziamento, il fine del servizio è il servizio stesso non il ringraziamento di chi ne usufruisce.

latriplice
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Re: Karma - riflessioni

Messaggio da latriplice » 06/06/2017, 0:22

"Circa più o meno...?"

Chiedi perché insicuro?
Cannaminor ha scritto:

Quindi volendo fare una scaletta alla maniera di la triplice si potrebbe dire, relativamente alla coscienza, che c'è una...

Coscienza di questo e quello ( quindi duale, relativa, piano sottile e grossolano)

Coscienza di sè, autocoscienza (ontologica, essere, unità, monismo, etc)

Ed in ultimo una Coscienza in sè, esseità, Quarto, Turya, etc, che è ben oltre il discorso sonno profondo e presenza assenza di oggetti etc.

Nel senso che se nel sonno profondo si è la coscienza di sè, auto-coscienza pur in assenza di ogni oggetto, percezione e sperimentazione, la coscienza in sè va oltre ogni possibile oggetto persino l'ultimo oggetto possibile, se stessi, l'esistere. È quindi non duale, advaita, asparsa.

Circa più o meno... ?

"...la coscienza in sè va oltre ogni possibile oggetto persino l'ultimo oggetto possibile, se stessi, l'esistere. È quindi non duale, advaita, asparsa..."


Non intravedo il nesso tra queste due affermazioni, ne colgo la correttezza del primo.

L'esistenza non è un attributo della consapevolezza, un oggetto testimoniabile. La consapevolezza (sat) e l'esistenza (cit) coincidono. Precedono l'esperienza (karma-dharma), l'oggetto ultimo contenitore di tutti gli altri oggetti. La "consapevolezza/esistenza" non dipende dall'esperienza, e l'esperienza dal canto suo dipende esclusivamente dalla "consapevolezza/esistenza" per il suo apparente "esistere". Pertanto, sebbene la "consapevolezza/esistenza" non è l'esperienza, quest'ultima in virtù della sua dipendenza non è nient'altro che consapevolezza. In questo senso la realtà è non duale.

"...C'è una Coscienza di questo e quello ( quindi duale, relativa, piano sottile e grossolano), una Coscienza di sè, autocoscienza (ontologica, essere, unità, monismo, etc) ed in ultimo una Coscienza in sè, esseità, Quarto, Turya, etc, che è ben oltre il discorso sonno profondo e presenza assenza di oggetti etc..."

Interessante la classificazione, ma dal momento che la "consapevolezza/esistenza" non è un oggetto che appare in quello strumento dell'esperienza che è la mente, come i pensieri, le sensazioni e le percezioni, come facciamo a fare "esperienza" di questo Sé che è la "consapevolezza/esistenza"?

L'approssimazione più fedele che hai del Sé è una mente prevalentemente sattvica, cioè pura, nel senso che è libera da vasana vincolanti o attrazioni o repulsioni compulsive, desideri e paure che estrovertono la sua attenzione. Solo a quel punto può apparire in essa un pensiero sottile di illimitatezza che in sanscrito viene definita come "akhandakara vritti", e dal momento che l'illimitato Sé è privo di attributi e quindi non può essere sperimentato come un oggetto, il riflesso del Sé-consapevolezza che appare in una mente pura è l'approssimazione più fedele che l'individuo apparente (jiva) può sperimentare o "vedere" come la sua vera natura.

E' questa "riflessione", questa sottile comprensione o intuizione della propria vera natura, su cui l'individuo apparente dirige la propria attenzione e riconosce come sua autentica identità nella meditazione.


Ma il fatto è che non puoi avere l'esperienza oggettiva del Sè. Puoi soltanto riconoscere o discernere quello che non sei, che è la fondamentale pratica dell'auto-indagine: atma-anatma-viveka, la discriminazione tra il Sè e il non-sé, l'apparenza degli oggetti.

Pertanto, quando vedo tutto ciò che non sono, sto meditando sul mio Sé?

L'unica risposta è che focalizzandosi sulla comprensione della tua illimitata natura è meditazione sul tuo Sé.

Sebbene tu non possa sperimentarlo in alcun modo in quanto forma o dimensione, e nonostante tu non possa conoscere il tuo Sé come un oggetto di esperienza, puoi conoscere te stesso in virtù del fatto che tu esisti, che emerge per default dall'auto-indagine.

Ecco perché la realizzazione è conoscenza e non esperienza.

Ecco perché questa comprensione è l'aspetto più difficile dell'insegnamento per le persone mondane vestite in abiti spirituali da assimilare.

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Re: Karma - riflessioni

Messaggio da latriplice » 06/06/2017, 2:17

Prologo:

"Circa sei settimane prima di lasciare Madurai, nella mia vita avvenne un grande cambiamento. Fu del tutto improvviso. Ero seduto in una stanza al primo piano della casa di mio zio. Ero raramente malato e quel giorno non c’era niente di anormale ma, all’improvviso una violenta paura della morte mi prese. Non c’era niente nel mio stato di salute che potesse giustificarla; non cercai di metterla in relazione con esso o trovare ragioni per la mia paura. Semplicemente sentii: “Sto morendo”, e cominciai a pensare a come affrontare la situazione. Non mi venne il pensiero di chiamare un dottore, parenti o amici. Compresi che dovevo risolvere il problema da solo, lì, in quel momento."


Auto-indagine:

"L’impatto della paura della morte spinse la mia mente a una profonda indagine e mi dissi, senza in realtà dare forma alle parole: “Adesso la morte è arrivata: cosa significa? Che cosa sta morendo? Questo corpo muore”. Immediatamente impersonai il processo della morte. Rimasi sdraiato con gli arti distesi e rigidi come se il rigor mortis fosse iniziato e imitai un cadavere per dare maggiore realtà all’indagine. Trattenni il fiato e serrai le labbra in modo da non lasciar sfuggire alcun suono, in modo che né la parola ’Io’ né alcun’altra potesse essere pronunciata. “Bene allora”, mi dissi “questo corpo è morto. Sarà portato rigido al luogo di cremazione e ridotto in cenere. Ma con la morte di questo corpo io sarò morto? Questo corpo è “Io”? Esso è silente e inerte ma sento la piena forza della mia personalità e anche la voce “Io” dentro di me, di là dal corpo."

Akhandakara vritti:

"Allora sono Spirito che trascende il corpo: il corpo muore ma lo Spirito che lo trascende non è toccato dalla morte. Questo significa che sono Spirito immortale”.Tutto ciò non fu un pensiero inerte; mi percorse vigorosamente come viva verità percepita direttamente quasi senza processo pensante.“Io” era qualcosa di assolutamente reale, l’unica realtà del mio stato presente, e tutta l’attività conscia connessa con il corpo era focalizzata su quell’“Io”. Da quel momento in poi l’“Io” o Sé trattenne l’attenzione su se stesso grazie al suo potente fascino. La paura della morte era svanita definitivamente. L’assorbimento nel Sé continuò ininterrotto da quel momento in avanti. Altri pensieri potevano venire e andare come note musicali, ma “Io” continuò come la nota fondamentale, la sruti che sottintende e si fonde con tutte le altre note. Nonostante il corpo fosse impegnato a parlare, leggere, o qualsiasi altra cosa, ero sempre focalizzato su “Io”.

L'esperienza di pre-morte di Sri Ramana Maharshi.

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Re: Karma - riflessioni

Messaggio da Mauro » 06/06/2017, 7:14

Con la morte di questo corpo io sarò morto? Questo corpo è “Io”? Esso è silente e inerte ma sento la piena forza della mia personalità e anche la voce “Io” dentro di me, di là dal corpo.
Stento a credere che Ramana abbia affermato questo, essendo la percezione della personalità una esperienza oggettiva come le altre.

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Re: Karma - riflessioni

Messaggio da latriplice » 06/06/2017, 14:54

Errata corrige:
Latriplice ha scritto:

L'esistenza non è un attributo della consapevolezza, un oggetto testimoniabile. La consapevolezza (sat) e l'esistenza (cit) coincidono. Precedono l'esperienza (karma-dharma), l'oggetto ultimo contenitore di tutti gli altri oggetti. La "consapevolezza/esistenza" non dipende dall'esperienza, e l'esperienza dal canto suo dipende esclusivamente dalla "consapevolezza/esistenza" per il suo apparente "esistere". Pertanto, sebbene la "consapevolezza/esistenza" non è l'esperienza, quest'ultima in virtù della sua dipendenza non è nient'altro che consapevolezza. In questo senso la realtà è non duale.
La consapevolezza (cit) e l'esistenza (sat) coincidono.

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Re: Karma - riflessioni

Messaggio da cannaminor » 07/06/2017, 9:07

latriplice ha scritto:
06/06/2017, 14:54
Errata corrige:
Latriplice ha scritto:

L'esistenza non è un attributo della consapevolezza, un oggetto testimoniabile. La consapevolezza (sat) e l'esistenza (cit) coincidono. Precedono l'esperienza (karma-dharma), l'oggetto ultimo contenitore di tutti gli altri oggetti. La "consapevolezza/esistenza" non dipende dall'esperienza, e l'esperienza dal canto suo dipende esclusivamente dalla "consapevolezza/esistenza" per il suo apparente "esistere". Pertanto, sebbene la "consapevolezza/esistenza" non è l'esperienza, quest'ultima in virtù della sua dipendenza non è nient'altro che consapevolezza. In questo senso la realtà è non duale.
La consapevolezza (cit) e l'esistenza (sat) coincidono.
Dal Glossario Sanscrito delle Edizioni Parmenides (ex Asram Vidya)

Cit ( n ) : coscienza; la coscienza pura ( caitanya ); consapevolezza pura; Intelligenza pura; coscienza totale, universale; coscienza - conoscenza; coscienza - consapevolezza; conoscenza pura. Cit è al di là di ogni processo rappresentativo, cognitivo, insomma al di là del mentale e persino al di là della pura intellezione o intuizione intellettuale ( buddhi ); tuttavia dà vita alla mente stessa , sostiene le sue modificazioni e assicura il funzionamento del mentale nella sua interezza. Uno dei tre aspetti (sat, cit, ananda) inscindibili e consustanziali al jivatman.

Sat (n) : l' Essere, il puro Essere; l'Esistenza in sè; l'esistente, ciò che è esistente; il reale, entità reale. Contrario di asat: ciò che non ha esistenza.

Saccidananda (Sat-cit-ananda, m): "Esistenza" (sat), "Coscienza" (cit) e "Beatitudine" (ananda); formula con la quale si indica il Brahman Saguna. Sat, cit e ananda non sono attributi ma aspetti coessenziali alla intrinseca natura dell'Essere, aspetti che si riflettono nel jivat in ragione della purezza e sottigliezza dei veicoli (sarira-kosa-upadhi) di cui è rivestito.

Sull'esistenza e l'esistere avrei da dire qualcosa in merito, almeno secondo mio sentire e interpretazione del termine.

Se posso ripartirei da quanto già detto in precedenza da quella "coscienza di questo e quello" sinonimo di piano duale e del molteplice.

Dire "coscienza di questo e quello" vuol dire al mio sentire avere coscienza di questo e quello, e quindi è in termini di "sono" equivalente a dire "io sono questo e quello". Quindi abbiamo (sempre secondo una mia licenza di lettura) una prima equivalenza:

Io sono questo e quello = (avere) coscienza di questo e quello

Il secondo passaggio ovvero l' "io sono" (senza questo e quello) è di fatto una dichiarazione di autocoscienza, ovvero di coscienza di sè.
Dire "io sono" equivale a dire io sono cosciente di me, io sono auto-cosciente. Quindi sempre secondo mia lettura e licenza porto questa seconda equivalenza:

io sono = coscienza di sè (auto-coscienza)

L'ultimo passaggio è il "sono" (senza più l'io) là dove il sono è la coscienza in sè (quindi non più di sè). Quindi l'ultimo passaggio è:

sono = coscienza in sè

Perchè tutto sto discorso? Perchè quando di parla di esistere ed esistenza, per come la vedo io, l'esistere e l'esistenza è la prima determinazione dell'Essere. Nel senso che l'esistere, l'esistenza è relativa all' "io sono". È l'io sono che dichiara la propria esistenza, di esistere. Io sono = esisto.

Mentre per l'Essere, il Sono, il solo "sono" (senza l'io) è una dichiarazione di essere, di esseità, e non di esistenza.

Essere non equivale ad esistere, l'Essere è, non esiste, non viene in esistenza, semplicemente è, attualità, essente, esseità.

Non c'è un soggetto essente, una dichiarazione di determinazione sia pure principiale di essere ed esseità; l' "io sono" dichiara la propria esistenza (e venuta in esistenza e determinazione), mentre il sono dichiara soltanto (si fa per dire) di Essere, sono, punto e basta, non io sono, ma solo sono, puro Essere, pura coscienza, senza soggetti sia pure principiali o ontologici.

È una differenza enorme tra le due condizioni e situazioni (condizioni e situazioni dovendogli dare un contesto e nome). Nell'una c'è il solo e puro Essere, il Sono, nell'altra compare un soggetto, sia pure Soggetto con la S maiuscola, ma sempre una prima determinazione che si assume ruolo e principio di essere nell' io sono. L'esistere, l'esistenza presuppone un soggetto che esiste (e viene in esistenza, quasi un "nascere"), quell' "io" dell' "io sono" fa tutta la differenza con il solo Essere e Sono (senza "io").

Non a caso alla voce sat si parla di puro Essere (l'equivalente di "pura coscienza"), di Esistenza in sè (equivalente di coscienza in sè); così come invece abbiamo una coscienza di sè che equivale (sempre al mio solito sentire) ad esistenza di sè, all' io sono, all'esistere, così abbiamo una Esistenza in sè, che equivale alla coscienza in sè, alla pura coscienza, al solo "sono".

È in questo senso e secondo questa spiegazione data che non trovo corrispondente il termine Esistere ed esistenza quando riferito alla pura coscienza, al "sono", al Brahman, nirguna, turya, etc.

L'Essere non esiste, l'Essere è, il che appunto (secondo mio sentire) non coincide per nulla col l'esistere e l'esistenza, relativo invece al saguna, alla prima determinazione, principiale, ontologica, etc. Meglio ancora, non è che non coincide, è che l'Essere include-comprende l'esistere e l'esistenza, ma non lo è in coincidenza; l'esistere e l'esistenza fan parte dell'Essere pur non essendo l'Essere stesso, ma suo aspetto, manifestazione, determinazione, esistenza appunto.

Quando Mosè incontra Dio sul monte ha luogo questo dialogo:

« Dio disse a Mosè: "Io sono colui che sono". Poi disse: "Dirai così ai figli d'Israele: Io-Sono mi ha mandato da voi" »

"Io sono" afferma di sè Dio. Afferma il proprio esistere, la propria esistenza...io sono.

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Re: Karma - riflessioni

Messaggio da Mauro » 07/06/2017, 9:30

A me pare che l'avere coscienza di sè sia già implicito nel concetto di: "io sono questo e quello'".
Se mi riconosco in "questo e quello", è perchè anzitutto mi riconosco.
Se non mi riconoscessi, non potrei neanche aderire a "questo e quello"

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Re: Karma - riflessioni

Messaggio da cannaminor » 07/06/2017, 9:39

Mauro ha scritto:
07/06/2017, 9:30
A me pare che l'avere coscienza di sè sia già implicito nel concetto di: "io sono questo e quello'".
Se mi riconosco in "questo e quello", è perchè anzitutto mi riconosco.
Se non mi riconoscessi, non potrei neanche aderire a "questo e quello"
Sì è implicito, infatti le parole "io sono" si trovano in entrambe le locuzioni "io sono questo e quello" e "io sono". In un caso l'io sono trova esplicazione nel molteplice altro da sè, "questo e quello", nell'altro in se stesso, "io"; infatti si parla di auto-coscienza, coscienza di sè, là dove il "questo e quello" (molteplice) diventa se stesso, io, il soggetto, io sono io.

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Re: Karma - riflessioni

Messaggio da latriplice » 07/06/2017, 16:25

cannaminor ha scritto:
07/06/2017, 9:07
latriplice ha scritto:
06/06/2017, 14:54
Errata corrige:
Latriplice ha scritto:

L'esistenza non è un attributo della consapevolezza, un oggetto testimoniabile. La consapevolezza (sat) e l'esistenza (cit) coincidono. Precedono l'esperienza (karma-dharma), l'oggetto ultimo contenitore di tutti gli altri oggetti. La "consapevolezza/esistenza" non dipende dall'esperienza, e l'esperienza dal canto suo dipende esclusivamente dalla "consapevolezza/esistenza" per il suo apparente "esistere". Pertanto, sebbene la "consapevolezza/esistenza" non è l'esperienza, quest'ultima in virtù della sua dipendenza non è nient'altro che consapevolezza. In questo senso la realtà è non duale.
La consapevolezza (cit) e l'esistenza (sat) coincidono.
Dal Glossario Sanscrito delle Edizioni Parmenides (ex Asram Vidya)

Cit ( n ) : coscienza; la coscienza pura ( caitanya ); consapevolezza pura; Intelligenza pura; coscienza totale, universale; coscienza - conoscenza; coscienza - consapevolezza; conoscenza pura. Cit è al di là di ogni processo rappresentativo, cognitivo, insomma al di là del mentale e persino al di là della pura intellezione o intuizione intellettuale ( buddhi ); tuttavia dà vita alla mente stessa , sostiene le sue modificazioni e assicura il funzionamento del mentale nella sua interezza. Uno dei tre aspetti (sat, cit, ananda) inscindibili e consustanziali al jivatman.

Sat (n) : l' Essere, il puro Essere; l'Esistenza in sè; l'esistente, ciò che è esistente; il reale, entità reale. Contrario di asat: ciò che non ha esistenza.

Saccidananda (Sat-cit-ananda, m): "Esistenza" (sat), "Coscienza" (cit) e "Beatitudine" (ananda); formula con la quale si indica il Brahman Saguna. Sat, cit e ananda non sono attributi ma aspetti coessenziali alla intrinseca natura dell'Essere, aspetti che si riflettono nel jivat in ragione della purezza e sottigliezza dei veicoli (sarira-kosa-upadhi) di cui è rivestito.

Sull'esistenza e l'esistere avrei da dire qualcosa in merito, almeno secondo mio sentire e interpretazione del termine.

Se posso ripartirei da quanto già detto in precedenza da quella "coscienza di questo e quello" sinonimo di piano duale e del molteplice.

Dire "coscienza di questo e quello" vuol dire al mio sentire avere coscienza di questo e quello, e quindi è in termini di "sono" equivalente a dire "io sono questo e quello". Quindi abbiamo (sempre secondo una mia licenza di lettura) una prima equivalenza:

Io sono questo e quello = (avere) coscienza di questo e quello

Il secondo passaggio ovvero l' "io sono" (senza questo e quello) è di fatto una dichiarazione di autocoscienza, ovvero di coscienza di sè.
Dire "io sono" equivale a dire io sono cosciente di me, io sono auto-cosciente. Quindi sempre secondo mia lettura e licenza porto questa seconda equivalenza:

io sono = coscienza di sè (auto-coscienza)

L'ultimo passaggio è il "sono" (senza più l'io) là dove il sono è la coscienza in sè (quindi non più di sè). Quindi l'ultimo passaggio è:

sono = coscienza in sè

Perchè tutto sto discorso? Perchè quando di parla di esistere ed esistenza, per come la vedo io, l'esistere e l'esistenza è la prima determinazione dell'Essere. Nel senso che l'esistere, l'esistenza è relativa all' "io sono". È l'io sono che dichiara la propria esistenza, di esistere. Io sono = esisto.

Mentre per l'Essere, il Sono, il solo "sono" (senza l'io) è una dichiarazione di essere, di esseità, e non di esistenza.

Essere non equivale ad esistere, l'Essere è, non esiste, non viene in esistenza, semplicemente è, attualità, essente, esseità.

Non c'è un soggetto essente, una dichiarazione di determinazione sia pure principiale di essere ed esseità; l' "io sono" dichiara la propria esistenza (e venuta in esistenza e determinazione), mentre il sono dichiara soltanto (si fa per dire) di Essere, sono, punto e basta, non io sono, ma solo sono, puro Essere, pura coscienza, senza soggetti sia pure principiali o ontologici.

È una differenza enorme tra le due condizioni e situazioni (condizioni e situazioni dovendogli dare un contesto e nome). Nell'una c'è il solo e puro Essere, il Sono, nell'altra compare un soggetto, sia pure Soggetto con la S maiuscola, ma sempre una prima determinazione che si assume ruolo e principio di essere nell' io sono. L'esistere, l'esistenza presuppone un soggetto che esiste (e viene in esistenza, quasi un "nascere"), quell' "io" dell' "io sono" fa tutta la differenza con il solo Essere e Sono (senza "io").

Non a caso alla voce sat si parla di puro Essere (l'equivalente di "pura coscienza"), di Esistenza in sè (equivalente di coscienza in sè); così come invece abbiamo una coscienza di sè che equivale (sempre al mio solito sentire) ad esistenza di sè, all' io sono, all'esistere, così abbiamo una Esistenza in sè, che equivale alla coscienza in sè, alla pura coscienza, al solo "sono".

È in questo senso e secondo questa spiegazione data che non trovo corrispondente il termine Esistere ed esistenza quando riferito alla pura coscienza, al "sono", al Brahman, nirguna, turya, etc.

L'Essere non esiste, l'Essere è, il che appunto (secondo mio sentire) non coincide per nulla col l'esistere e l'esistenza, relativo invece al saguna, alla prima determinazione, principiale, ontologica, etc. Meglio ancora, non è che non coincide, è che l'Essere include-comprende l'esistere e l'esistenza, ma non lo è in coincidenza; l'esistere e l'esistenza fan parte dell'Essere pur non essendo l'Essere stesso, ma suo aspetto, manifestazione, determinazione, esistenza appunto.

Quando Mosè incontra Dio sul monte ha luogo questo dialogo:

« Dio disse a Mosè: "Io sono colui che sono". Poi disse: "Dirai così ai figli d'Israele: Io-Sono mi ha mandato da voi" »

"Io sono" afferma di sè Dio. Afferma il proprio esistere, la propria esistenza...io sono.
In sostanza fornisci una descrizione della Coscienza nei suoi 3 stadi (io sono questo, io sono, sono) in funzione della presenza o assenza degli oggetti come se la Coscienza ne fosse da questi subordinata.

Come se fosse la coda a scodinzolare il cane e non viceversa.

Ci sono fondamentalmente due categorie apparentemente in esistenza: Io che esisto (satya) e gli oggetti che apparentemente esistono (mitya) che si presentano al mio cospetto.

E per oggetti si intende tutto ciò di cui sono consapevole e che non godono di tale consapevolezza: Ishvara, jiva, jagat.

So per certo che non condivido il destino del corpo-mente, il suo apparire e scomparire, perché io in verità non sono mai apparso né scomparirò.

Dio ha reso testimonianza del suo status dicendo "Io sono colui che sono".

Sarebbe interessante sapere la tua di testimonianza. Forse io sono questo o quello?

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Re: Karma - riflessioni

Messaggio da Mauro » 07/06/2017, 16:35

Come se fosse la coda a scodinzolare il cane e non viceversa.
Ecco dovresti cominciare a vedere le cose da diversi punti di vista per mitigare la tua visione "assolutistica" della realtà.
Cambia sistema di riferimento: metti una telecamerina sulla punta della coda del cane e vedrai scodinzolare il cane a destra e a sinistra.

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Re: Karma - riflessioni

Messaggio da cannaminor » 07/06/2017, 22:03

latriplice ha scritto: In sostanza fornisci una descrizione della Coscienza nei suoi 3 stadi (io sono questo, io sono, sono) in funzione della presenza o assenza degli oggetti come se la Coscienza ne fosse da questi subordinata.
Veramente pensavo fosse chiaro che è l'inverso semmai, che sono gli "oggetti" eventualmente ad essere subordinati alla coscienza.

Sono gli oggetti, in subordinazione alla coscienza a creare i "3 stadi" di pertinenza. La coscienza è sempre quella, è il contesto dove viene ad applicarsi, se e quando trova applicazione, che crea il contesto ed i 3 stadi.

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Re: Karma - riflessioni

Messaggio da latriplice » 08/06/2017, 20:36

cannaminor ha scritto:
07/06/2017, 22:03
latriplice ha scritto: In sostanza fornisci una descrizione della Coscienza nei suoi 3 stadi (io sono questo, io sono, sono) in funzione della presenza o assenza degli oggetti come se la Coscienza ne fosse da questi subordinata.
Veramente pensavo fosse chiaro che è l'inverso semmai, che sono gli "oggetti" eventualmente ad essere subordinati alla coscienza.

Sono gli oggetti, in subordinazione alla coscienza a creare i "3 stadi" di pertinenza. La coscienza è sempre quella, è il contesto dove viene ad applicarsi, se e quando trova applicazione, che crea il contesto ed i 3 stadi.

Quindi presumo che alla fine di questa accurata disamina, in conformità ai propositi del Vedanta, tu abbia dissolto l'ignoranza riguardo te stesso e ti sei riconosciuto in quella coscienza che con estrema competenza e perizia hai descritto.

Insomma se sei illuminato o meno.

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Re: Karma - riflessioni

Messaggio da Mauro » 08/06/2017, 21:15

Quella della "illuminazione" sembra un tua ossessione, latriplice. Io ne indagherei i motivi.

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Re: Karma - riflessioni

Messaggio da latriplice » 08/06/2017, 23:09

Mauro ha scritto:
08/06/2017, 21:15
Quella della "illuminazione" sembra un tua ossessione, latriplice. Io ne indagherei i motivi.
Al posto tuo, sulla scia dei tuoi studi su testi vedantici che sporadicamente fai menzione e partecipazione a tempo indefinito in ambienti a tema, io indagherei i motivi della tua mancata "illuminazione", invece.

Cosa è che non ti è chiaro?

Il Vedanta consiste essenzialmente di due fasi: l'ascolto dell'insegnamento, shravana, e contemplazione dell'insegnamento, manana.

Per chi è qualificato e pronto è sufficiente l'ascolto per discriminare, viveka, se stesso dagli oggetti che nella sua sfera coscienziale fanno la loro apparizione e riconoscersi per identità in quest'ultima, che equivale alla liberazione, moksha.

E se l'ascolto non è sufficiente perché il tuo intelletto soffre di una mal riposta mancanza di fiducia, shradda (una delle qualificazioni), nell'insegnamento e nell'insegnante (che probabilmente è il tuo caso), il Vedanta prevede la seconda fase della contemplazione per sciogliere qualsiasi dubbio residuo sulla tua autentica natura di atman.

Questo in soldoni è il Vedanta, nulla di trascedentale che abbia a che vedere con esperienze estatiche, risveglio della kundalini e apparizioni mariane. Soltanto conoscenza atta a dissolvere la propria ignoranza, cioè che ignori di essere l'Atman.

Presumo che tu non abbia contemplato i testi ed il loro contenuto a sufficienza, allora.

O che non sei sufficientemente qualificato.

Comunque dalla parte tua c'è da dire che l'ignoranza, maya, al pari dell'oggetto contenitore degli altri oggetti, Ishvara, è irreale.

Mauro
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Re: Karma - riflessioni

Messaggio da Mauro » 09/06/2017, 5:43

latriplice ha scritto: Presumo che tu non abbia contemplato i testi ed il loro contenuto a sufficienza, allora.

O che non sei sufficientemente qualificato.
Entrambe le cose, vedi che sfiga! :lol:

Mauro
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Re: Karma - riflessioni

Messaggio da Mauro » 09/06/2017, 6:51

latriplice ha scritto: Al posto tuo, sulla scia dei tuoi studi su testi vedantici che sporadicamente fai menzione e partecipazione a tempo indefinito in ambienti a tema, io indagherei i motivi della tua mancata "illuminazione", invece.
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Re: Karma - riflessioni

Messaggio da Fedro » 09/06/2017, 7:39

Riflettevo come, a furia di sforzarci di parlar di metafisica, si arrivi sempre a testimoniare la propria... mente (anzi...si viene ad essere testimoniati da essa, visto che non viene osservata) :)
Ad esempio la triplice, quale volo pindarico ti porta ad inseguirla, e chiedere dell'ENEL altrui: che cambia nella tua vita o che importa a te?
E perché rispondere piccati a Mauro che nota anch'egli questa stessa tua dinamica ed allora amplifichi l'"argomento goal", marcando che l'altro è più sfigato?
Cosa si teme?
Scusate questo OT,...ma cosa c'è di più intrigante del verificare il colore delle onde del mare, piuttosto che immaginare di star sempre a guardare laggiù l'imperturbabile fondo?

Mauro
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Re: Karma - riflessioni

Messaggio da Mauro » 09/06/2017, 7:50

Adoro il mare, sembra che le sue onde vadano in sincrono col mio sentire, sia quando è calmo, sia quando è in burrasca, brioso o cupo, vivace o terribile. L'adoro. Sarà dovuto alla frequenza base della Terra, che il mare trasmette incessantemente.

cielo
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Re: Karma - riflessioni

Messaggio da cielo » 09/06/2017, 8:43

latriplice ha scritto:
08/06/2017, 23:09
Mauro ha scritto:
08/06/2017, 21:15
Quella della "illuminazione" sembra un tua ossessione, latriplice. Io ne indagherei i motivi.
Al posto tuo, sulla scia dei tuoi studi su testi vedantici che sporadicamente fai menzione e partecipazione a tempo indefinito in ambienti a tema, io indagherei i motivi della tua mancata "illuminazione", invece.

Cosa è che non ti è chiaro?

Il Vedanta consiste essenzialmente di due fasi: l'ascolto dell'insegnamento, shravana, e contemplazione dell'insegnamento, manana.

Per chi è qualificato e pronto è sufficiente l'ascolto per discriminare, viveka, se stesso dagli oggetti che nella sua sfera coscienziale fanno la loro apparizione e riconoscersi per identità in quest'ultima, che equivale alla liberazione, moksha.

E se l'ascolto non è sufficiente perché il tuo intelletto soffre di una mal riposta mancanza di fiducia, shradda (una delle qualificazioni), nell'insegnamento e nell'insegnante (che probabilmente è il tuo caso), il Vedanta prevede la seconda fase della contemplazione per sciogliere qualsiasi dubbio residuo sulla tua autentica natura di atman.

Questo in soldoni è il Vedanta, nulla di trascedentale che abbia a che vedere con esperienze estatiche, risveglio della kundalini e apparizioni mariane. Soltanto conoscenza atta a dissolvere la propria ignoranza, cioè che ignori di essere l'Atman.

Presumo che tu non abbia contemplato i testi ed il loro contenuto a sufficienza, allora.

O che non sei sufficientemente qualificato.

Comunque dalla parte tua c'è da dire che l'ignoranza, maya, al pari dell'oggetto contenitore degli altri oggetti, Ishvara, è irreale.
Hai dimenticato una fase latriplice, fondamentale: la riflessione: manana.

Nella sadhana advaita ci sono dei passi prescritti, solitamente da intraprendere dopo aver preso il samnyasa (dopo aver rinunciato all'attrazione per il mondo). E' quel "ritiro nella foresta", e insieme rappresenta sravana, manana e nidhidhyasana [ascolto, riflessione e meditazione-contemplazione] tutti in un unico movimento. Poche attività sono parimenti operative e risolutive e i medesimi passi sono necessari per ben progredire anche nelle vie tradizionali dello yoga (karma bhakti e jnana yoga). Riflettere e tornare cento volte su un sutra, favorisce l'apertura verso l'essenza che lo penetra.
Raramente si riflette sul fatto che in passato (ai tempi vedici) non c'erano testi e la trasmissione delle opere era mnemonica, di conseguenza i concetti di sravana, manana e nidhidhyasana erano ben circostanziati.
Consideriamo che nella vita di un samnyasin potevano essere due o tre le opere che si contemplavano, una volta avendole apprese mnemonicamente.
L'ascolto implicava la massima attenzione e manana era la continua ripetizione interiore dei sutra. Invece nidhidhyasana era una contemplazione profonda del Principio (riconosciuto nella shastra e nelle parole del Guru) senza più alcuno sforzo da parte del sadhaka.
Non si salta dall'ascolto alla contemplazione, nel mezzo si sperimenta anche la riflessione che aiuta a focalizzare sulla tendenza della mente a creare una struttura di sostegno che poi dovrà essere abbandonata per poter contemplare la pura realtà dell'Essere.

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cannaminor
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Re: Karma - riflessioni

Messaggio da cannaminor » 09/06/2017, 21:44

latriplice ha scritto:
08/06/2017, 20:36
cannaminor ha scritto:
07/06/2017, 22:03
latriplice ha scritto: In sostanza fornisci una descrizione della Coscienza nei suoi 3 stadi (io sono questo, io sono, sono) in funzione della presenza o assenza degli oggetti come se la Coscienza ne fosse da questi subordinata.
Veramente pensavo fosse chiaro che è l'inverso semmai, che sono gli "oggetti" eventualmente ad essere subordinati alla coscienza.

Sono gli oggetti, in subordinazione alla coscienza a creare i "3 stadi" di pertinenza. La coscienza è sempre quella, è il contesto dove viene ad applicarsi, se e quando trova applicazione, che crea il contesto ed i 3 stadi.

Quindi presumo che alla fine di questa accurata disamina, in conformità ai propositi del Vedanta, tu abbia dissolto l'ignoranza riguardo te stesso e ti sei riconosciuto in quella coscienza che con estrema competenza e perizia hai descritto.

Insomma se sei illuminato o meno.
Propositi del vedanta? Non so risponderti sui propositi del vedanta; presumo di sì, nel senso che l'istruzione ricevuta (additare cioè, la via ed il viaggio) e quella letta sui testi viene così definita "vedanta"; questo stesso forum ha nome Vedanta.it quindi tutto porta a pensare, presumere, che quanto discusso, esposto e testimoniato sia inerente il vedanta, anche se non lo so per certo quanto ed in che misura ciò mi competa e riguardi.

Così come non so, latriplice, se quella coscienza, quella consapevolezza, quella presenza o i mille altri nomi che nei mille rami tradizionali trova nome, sia l'illuminazione di cui parli. Non te lo sto dicendo per falsa modestia o per dire, meglio domandare a mia volta, come si usa rispondere in questi casi, "chi dovrebbe essere illuminato?"

So solo e posso solo affermare questo; quella presenza, quella coscienza, quella consapevolezza...è sempre presente, latente, sottesa (presente forse è il miglior termine), in me. Spesso e volentieri viene sovrapposta, a vari gradi, di altro, dell'altro, dell'oggetto-oggetti di cui si parlava; spesso e volentieri tende verso una identificazione, individuazione, determinazione, limite e misura, ma sotto, di sotto resta sempre quella presenza , presente, assolutamente presente a sè, a me, me. È la costante che continua, sempre, senza alcuna interruzione di sè, sempre presente, sempre essente.

Tutto il resto, tutto il mondo o i mondi che compaiono (e scompaiono) si sovrappongono, scivolano sopra, leggeri senza mai lasciare alcuna traccia di sè, mai. Per quanto reali, per quanto apparentemente reali, non lo sono mai fino in fondo, essendoci, "in fondo", sempre e comunque presente quella presenza che non viene mai meno. Non saprei come meglio descriverla...

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