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Atmavicāra: autoindagine

Il sistema filosofico Yoga Darshana, codificato nello Yogasutra di Patanjali
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cielo
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Iscritto il: 01/10/2016, 20:34

Atmavicāra: autoindagine

Messaggio da cielo » 01/11/2016, 20:42

L'autoindagine necessita di un onestà interiore spietata, altrimenti l'introspezione non è possibile perché saremo sempre trascinati all'esterno da qualsiasi nostro moto.
Un aiuto è il dialogo, aiuto poiché ci permette di riconoscere attraverso il nostro linguaggio i percorsi della mente, i suoi bluff, i suoi agguati, le tane in cui nasconde ciò che non ama vedere.

La prima cosa che dovremmo vedere è la rispondenza fra pensiero e parola.

Diciamo veramente quanto pensiamo? O nella realtà diciamo altro da ciò che crediamo?

La mente ha la tendenza ad essere incontrollata e noi spesso dietro ad essa le siamo pari. Spesso la mente parla senza nemmeno sapere cosa dice o senza avere alcuna competenza in quello che dice, parla perché trattiene qualche lettura, qualche ricordo o perché essa ritiene di essere sapiente e quindi avere una qualche conoscenza da porgere da sé, spesso senza alcuna esperienza in merito.

E' tipico quando permettiamo alla mente di essere altro da ciò che è. La mente alla fine è un semplice contenitore ove si manifestano i pensieri e il fatto di averne visti e immagazzinati tanti, non la rende né saggia, né intelligente.

Dovremmo imparare a rileggere i nostri scritti e dovremmo farlo con vocabolario alla mano per capire cosa in realtà stiamo dicendo al nostro interlocutore... e certo se potessimo, anche solo per un attimo, dedicarci al perché lo stiamo dicendo aiuterebbe ancor più.

Certo, in alcuni casi, se il nostro interlocutore fosse un Maestro della levatura di un Ramana Maharshi o Shankara, le sue parole sarebbero epiche, ma ci possono aiutare anche le parole di un confratello se esse ci indirizzano su noi stessi. Ma, in ogni caso, le parole che ci devono aiutare sono le nostre stesse.

Cosa sto scrivendo? Perché lo sto scrivendo? Sto dando un vero contributo o il mio è solo una sterile autoaffermazione del mio ego?
Spesso ci si può accorgere che in realtà il nostro era solo un bisogno di esternazione senza alcuna sostanza, senza alcun contributo. Cosa sto dando? Pensieri... come se gli altri non ne avessero già fin troppi di propri.

Qui sono transitate persone che non riuscivano a rendersi conto di quello che dicevano, e una volta richiamati alle loro stesse parole, si seccavano pure e raramente rispondevano o uscivano ancora altre parole, invece di osservare le stesse e riconoscerle come proprie ed errate.

L'errore non va considerato come una colpa, l'errare è di per sé una perdita di tempo... infatti è sinonimo di vagare. Perché è ovvio che si divaghi nel momento stesso in cui dico qualcosa nemmeno rispondente al mio pensiero (inferenza o testimonianza che sia), sto perdendo tempo e lo sto facendo perdere al mio interlocutore.

In passato ha frequentato questo luogo una persona che aveva proprio questa abitudine, da un lato parlava un linguaggio che forse non capiva nemmeno lui stesso, dall'altro quelle poche volte che diceva qualcosa di chiaro, era incapace di argomentare le sue affermazioni in maniera intellegibile e subito allora negava le sue stesse parole, celiando o affermando che fossero boutade e scherzo.

Un aspirante dovrebbe essere attento e monitorare la propria parola per poterla usare come strumento di conoscenza.
D'altra parte sarebbe difficile andare in profondità se si annaspa nel flusso incontrollato di pensieri alterati nella parola scritta.

Premadharma. Tratto da forum pitagorico

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