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I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Il sistema filosofico Yoga Darshana, codificato nello Yogasutra di Patanjali
cielo
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da cielo » 11/04/2017, 17:21

latriplice ha scritto:
10/04/2017, 23:41
cielo ha scritto:
10/04/2017, 18:21
latriplice ha scritto:
10/04/2017, 16:57
Lo yoga dice che se tu fai l'esperienza del nivirkalpa samadhi, solo allora realizzi il Sé.
Il Vedanta dice che tu sei il Sé, non importa quale esperienza stai avendo.

Appoggiarsi all'esperienza per l'auto-validazione equivale alla coda che scodinzola il cane. Senza di me, consapevolezza, l'esperienza non sarebbe possibile. Pertanto il Vedanta rimette le cose a posto ed il cane a scodinzolare la coda, proprio come le cose stanno.

Comunque sei libero di sovvertire l'ordine naturale delle cose, che la consapevolezza dipenda dall'esperienza.

Questa tua visione della differenza tra yoga e vedanta la trovo molto personalizzata, molto "tua". Come se nel vedanta non venisse marcata la differenza dell'esperienza del samadhi savikalpa (con differenziazione) o nirvikalpa (senza proiezione, differenziazione)
Di conseguenza non definirei altre visioni - interpretazioni quali "sovvertenti l'ordine naturale delle cose" che secondo te, pare di capire (ma magari mi sbaglio), implica che la consapevolezza preceda l'esperienza e non viceversa, dunque chiunque si adoperi per fare sadhana (pratica, esperienza) secondo determinati dettami filosofico-pratici si sta allontanando dalla potenziale "realizzazione del Sè", il goal dei goal.
In teoria probabilmente sì, la "consapevolezza di Quello" esiste a prescindere dall'esperienza del jiva incarnato, visto che il Sè è sempre, immoto, immutabile, impensabile, incommnesurabile (...), puro essere a prescindere dall'esperienza che il singolo, povero, errante, jiva incarnato, ne faccia, differenziandosi dalla Sorgente da cui è sorto quale raggio della medesima Luce.
Povero jiva che anela a rimmergersi nelle acque dalle quali non è mai emerso, ma fin che non lo capisce e lo "vive" in pienezza e identità, il povero jiva brancola e si racconta tante belle favolette consolanti, tra cui: Tat tvam asi o Brahma asmi.
Quando si interpreta troppo la sruti è evidente che si usa la mente, di conseguenza ci si espone inevitabilmente anche alla mente altrui che coglie differenza con la propria, di visione.
Chiunque si adoperi per fare la sadhana in genere non è interessato nel negare il meditante, egli è interessato nell'ottenere una particolare esperienza per il meditante. Pertanto il meditante rimane intatto, infatti il meditante o l’agente viene rinforzato dalla meditazione.
Cielo ha scritto:
Lo sforzo è di trascendere il formale lasciandoci attrarre dalla pura presenza dell'Essere
Esattamente, lo yoga è un sentiero dualistico per agenti che vogliono connettersi o contattare il Sé, basata sull'idea che la realtà è duale e che ci sono due sé, uno reale o vero, e l'altro limitato, cioè una persona. Essa dice che i due sono differenti, ma entrambi reali. Inoltre lo yoga dice che la persona limitata può sperimentare la libertà senza limiti se solo può "contattare" o "unificarsi" con il vero o supremo Sé, e ciò comporta molte pratiche designate nel mettere in condizione il sé limitato "in contatto" o "unione" con il reale o vero Sé, cioè consapevolezza illimitata.

Rispetto allo yoga che è un sistema di pratiche orientate all'esperienza che congiunge il sé limitato con il Sé illimitato, il Vedanta è lo yoga del non-contatto (asparsa), che significa che è solo conoscenza. Pertanto il Vedanta è la conoscenza che c'è soltanto un solo Sé, ed è il mezzo (insegnamento) che consegna questa conoscenza, quando brandita da un insegnante qualificato, ad un cercatore qualificato.

Tuttavia il Vedanta appoggia lo yoga come un mezzo per preparare la mente per l'auto-conoscenza. Essa afferma che in molti casi, l'individuo non può ottenere la conoscenza della non-dualità e gioire del frutto della conoscenza fino a che le vasane (citta vrittis) sono vincolanti all'azione. Pertanto il Vedanta sostiene lo yoga come un mezzo di purificazione della mente (anta karana shuddi) e di preparazione della mente, dal momento che una mente pura e preparata è necessaria per l'assimilazione dell'auto-conoscenza "Io sono l'illimitata ordinaria imperturbabile consapevolezza non-nata non-duale e non-agente". La ragione per la quale il Vedanta non è un sentiero dello yoga è che il Vedanta nega l'agente. Essa dimostra che l'agente è un sé apparente e non reale. Essa stabilisce che la vera identità del sé limitato è la consapevolezza illimitata e non-agente e non l'artefice delle azioni.

La conoscenza che i vari samadhi indicano è che il samadhi è soltanto un altro oggetto che appare in te, che permette al riflesso del Sé di apparire in una mente immobile. Tuttavia, osservare che alcuna esperienza può avere luogo senza di te, consapevolezza, è l'essenza dell'auto-indagine, la quale non è una esperienza, è l’applicazione della conoscenza discriminante. Pertanto l’auto-indagine è molto differente dalla meditazione. Il suo successo dipende dalle qualificazioni presenti nella mente. L’auto-indagine ti rivela che la consapevolezza è la tua vera natura e che tutte le esperienza (oggetti) sorgono da te e appaiono in te, ma tu sei libero dagli oggetti. Gli oggetti sono te, ma tu non sei gli oggetti. Tenendo questa conoscenza in mente e costantemente contemplandola è auto-indagine.

Ashtavakra disse:

1. Tu sei libero dal contatto con qualsiasi cosa. Pertanto, puro come sei, a che cosa vuoi rinunciare? Distruggi il complesso corporeo ed in questo modo entra nello stato di dissoluzione.


Questo verso riassume l'essenza del Vedanta: stabilisce che moksa è viveka, che significa discriminazione basata sull'auto-conoscenza.

Essa insegna che soltanto l’auto-conoscenza, non l’esperienza, è capace di rimuovere l’ignoranza. Molti occidentali coinvolti nello yoga hanno l’idea che la rimozione di tutti i pensieri e le vasane (vritti/vasana kyshaya) costituisce la liberazione (moksha). Se vedi moksha come yoga (citta vritti nirodha) non è moksha, perché il Sé è libero e può essere conosciuto come il proprio sé indipendentemente dalla presenza o meno delle citta vritti. Lo yoga è efficace nel rimuovere le vritti e possiamo considerare lo yoga come un “errore che conduce”, in quanto uno yoghi lavorando sulle proprie vasane e raggiungendo vari samadhi potrebbe dopo un certo tempo convertire il desiderio di sperimentare il samadhi nell’auto-indagine che conduce a viveka, discriminazione.

Ma è l’eccezione piuttosto che la regola perché gli yoghi tendono a praticare lo yoga con la convinzione che moksha è samadhi e non viveka. Si è più orientati all’esperienza che alla conoscenza derivante dalla discriminazione.

Molti cercatori vogliono alleviare la loro sofferenza con un qualche tipo di esperienza beatifica e sono attratti dallo yoga per questa ragione. Se occasionalmente ci riescono, di solito continuano ad aumentare i loro sforzi per ottenere samadhi sempre più sottili e finiscono frustrati perché nessun jiva può controllare l’esperienza. Questo è il lavoro di Ishvara. E gli yoghi tendono ad avere dei grandi ego perché possono più o meno raggiungere elevati stati mentali con la forza della volontà credendo che sono i responsabili. L’agente è vivo e scalpitante.

Quando possiedi l’auto-conoscenza non c’è più bisogno di meditazione, esperienze spirituali o stati elevati d’essere, perché come il Sé tu sei oltre ogni stato mentale, tu sei la meditazione. Non hai bisogno di rincorrere l’esperienza della consapevolezza perché sai che stai soltanto sperimentando da sempre la consapevolezza, non importa cosa succede o non succede nella mente.

Pertanto la liberazione si attua nel discriminare il Sé dal non-sé, e per non-sé si intende tutto ciò di cui fai esperienza, i vari samadhi, incluso lo sperimentatore.

Porsi la classica domanda "Chi sono io?" e aspettarsi che giunga chissà in quale modo la risposta è yoga. Il Vedanta te lo dice subito chi sei in tutte le salse : "Tu sei Quello". Ma ovviamente non è l'ego che deve realizzarlo come comunemente si intende. L'ego è un non-sé.
Dopo che lo so, da tutte le salse assaggiate, che sono Quello non ho risolto il problema dell'io. Forse ti dimentichi che chi risolve l'io, è l'io stesso.

Difatti è l'io che discrimina, il Sè è, non discrimina tra gli opposti e le opzioni. Cosa avrebbe mai da discriminare il Sè, forse che non sa chi è sè stesso? Che bisogno avrebbe di discriminare tra Sè e non sè?
L'auto indagine e il processo discriminativo lo svolge proprio la mente, ossia l'ego.
E' proprio la mente\ego che, indagando su se stessa, si risolve nel Sè. Si riassorbe nella Sorgente.
Cercando le sue stesse radici e origini, ovvero il classico "chi sono io", intanto smorza ogni altro pensiero che normalmente cavalca l'io stesso e così facendo, focalizzando e centrando l'attenzione sulla Fonte, l'indagine sul soggetto "io", lo risolve ( si risolve..) in Quello.
Questi sono i presupposti esposti dall'atma-vicara di Ramana e da altri conoscitori, inutile manipolarli come argilla per farne simulacri e costruzioni concettuali. Il viaggio è lungo e come viene detto: "la coscienza parla nel supremo Silenzio". Viene scomposta nei tre stati di coscienza, proprio come le lettere del Pranava A U M, si fondono nell'Oṃ

Quando l'io si risolve in Quello, ovvero quand,o dopo lunga discriminazione, dopo aver risolto ogni possibile "ciò che non sono" e dissolto ogni idea, pur suprema, non resta altro da discriminare.
Quando i molteplici oggetti in cui l'io solitamente si identificava (io sono questo e quello..) vengono discriminati e risolti per "non essere io", rimane solo l'io stesso da discriminare, solo che accade che si scopre che l'io che si credeva a parte dagli oggetti è invece i medesimi, ossia l'io è la composizione dei vari "io sono questo e quello", come i mattoni fanno una casa; risolti i mattoni hai risolto anche la casa.
Peccato che non lo scopri (realizzi..) sino all'ultimo mattone.

Ricorda Raphael:
Siamo dunque il Testimone-coscienza di tutto il processo-divenire in noi; vale a dire, siamo i Testimoni dell’intero “secondo” fenomenico. Per riconquistare la nostra più profonda natura dovremo risolvere lo stimolo o l’istanza di estroversione che ci fa uscire dal nostro stato essente.
Rimane ovvio che queste cose vanno sperimentate, non teorizzate.


Tratto da qui

latriplice
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da latriplice » 12/04/2017, 1:17

Cielo ha scritto:

Dopo che lo so, da tutte le salse assaggiate, che sono Quello non ho risolto il problema dell'io. Forse ti dimentichi che chi risolve l'io, è l'io stesso.

Difatti è l'io che discrimina, il Sè è, non discrimina tra gli opposti e le opzioni. Cosa avrebbe mai da discriminare il Sè, forse che non sa chi è sè stesso? Che bisogno avrebbe di discriminare tra Sè e non sè?
L'auto indagine e il processo discriminativo lo svolge proprio la mente, ossia l'ego.
E' proprio la mente\ego che, indagando su se stessa, si risolve nel Sè. Si riassorbe nella Sorgente.
Cercando le sue stesse radici e origini, ovvero il classico "chi sono io", intanto smorza ogni altro pensiero che normalmente cavalca l'io stesso e così facendo, focalizzando e centrando l'attenzione sulla Fonte, l'indagine sul soggetto "io", lo risolve ( si risolve..) in Quello.
Questi sono i presupposti esposti dall'atma-vicara di Ramana e da altri conoscitori, inutile manipolarli come argilla per farne simulacri e costruzioni concettuali. Il viaggio è lungo e come viene detto: "la coscienza parla nel supremo Silenzio". Viene scomposta nei tre stati di coscienza, proprio come le lettere del Pranava A U M, si fondono nell'Oṃ

Quando l'io si risolve in Quello, ovvero quand,o dopo lunga discriminazione, dopo aver risolto ogni possibile "ciò che non sono" e dissolto ogni idea, pur suprema, non resta altro da discriminare.
Quando i molteplici oggetti in cui l'io solitamente si identificava (io sono questo e quello..) vengono discriminati e risolti per "non essere io", rimane solo l'io stesso da discriminare, solo che accade che si scopre che l'io che si credeva a parte dagli oggetti è invece i medesimi, ossia l'io è la composizione dei vari "io sono questo e quello", come i mattoni fanno una casa; risolti i mattoni hai risolto anche la casa.
Peccato che non lo scopri (realizzi..) sino all'ultimo mattone.

Ricorda Raphael:
Siamo dunque il Testimone-coscienza di tutto il processo-divenire in noi; vale a dire, siamo i Testimoni dell’intero “secondo” fenomenico. Per riconquistare la nostra più profonda natura dovremo risolvere lo stimolo o l’istanza di estroversione che ci fa uscire dal nostro stato essente.
Rimane ovvio che queste cose vanno sperimentate, non teorizzate.
Non importa quanto l'ego cambi per il meglio, non andrà mai a trasformarsi nel Sé.

La persona apparente, e per “persona” intendo il complesso mente-corpo-sensi comprese tutte le sensazioni, emozioni e pensieri che sono esperiti da essa e apparentemente appartengono ad essa, è solo un oggetto nella consapevolezza come qualsiasi altro oggetto. Così, la persona apparente è in realtà inerte e insenziente e quindi, incapace di conoscere se stessa. Il complesso mente-corpo-sensi che costituisce il singolo individuo apparente che prendiamo per noi stessi in realtà è niente di più che un elaborato meccanismo che, una volta illuminato dalla consapevolezza, genera l'esperienza che conosciamo come la vita della persona comprese eventuali processi discriminativi da essa svolti. Pertanto il vero conoscitore non è l'ego, ma la consapevolezza-Sé.

C'è il sole, c'è il mare mosso dalle onde, e c'è il riflesso del sole sulla superficie del mare.

Il sole è il Sé-Brahman, il mare è la sostanza mentale, le onde sono le sensazioni, le emozioni ed i pensieri incluso la nozione dell'ego che solcano la superficie della sostanza mentale, ed il riflesso del sole sulla superficie del mare è il jiva.

Il jiva non è nient'altro che quella "parte" del Sé associato alla sostanza mentale che a causa del suo moto superficiale genera la sensazione apparente che il Sé sia in movimento, ecco perché tutti abbiamo l'impressione di essere degli agenti.

Quando mediti le modificazioni mentali vengono attenuate a tal punto che il riflesso del Sé appare evidente come il disco solare appare nitido sullo specchio d'acqua di uno stagno. Magari non sei completamente soddisfatta di come sta andando la meditazione perché la vorresti perfezionare.

Pertanto abbiamo questo quadretto: da una parte c'è un ego che vuole soddisfare una sua esigenza, dall'altra c'è il riflesso del Sé, e poi c'è questa luce del Sé-consapevolezza che li illumina entrambi. Può accadere che tu ti riconosca in quest'ultima. Ma chi dei tre si riconosce nel Sé-consapevolezza?

Non ti dice nulla:

Brahma satyam, jagan mithya, jivo brahmaiva naparah?

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Fedro
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da Fedro » 12/04/2017, 6:08

Si parte da dove si è: dunque se qui c'è ego, non lo bypasso solo tramite un ragionamento.
Capisco che inizialmente possa servire il tuo ragionamento, ma dopo bisogna mollare pure quello sul Sé.
Siccome per procedere, devo lasciare la credenza/identificazione su ciò che sono, non la risolvo immediatamente spostandomi.solo su un altro oggetto che ho chiamato Sé, ma è ovvio che è un inizio della strada.
Per proseguire, devo mollare anche questo sostegno; devo affondare, passando solo dall'affondare, senza margini, sempre più dentro.
Non riconosci che sei ancora dentro le parole, i concetti, le identificazioni agli insegnamenti: se non cadono, come spostarsi dal'ego che sta ancora cambiando le sue maschere?
Dunque è ovvio che non basta cambiare virtualmente la prospettiva dell'ego, per cambiare la visione.. c'è invece da affondare dentro la stessa, visto che non sei mai altrove, ma dentro.
In pratica , se stai seguendo una via Jnani, hai solo da girare l'Occhio di 180° per volgerlo dentro te stesso, senza aspettative, lasciando andare ogni risposta trovata, li creduta.
Ma Tu sei l'Asse ed entro cui ti sei girato senza saltelli, non un Sé altrove da esso che hai ipotizzato.

Mauro
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da Mauro » 12/04/2017, 7:28

Il jiva non è nient'altro che quella "parte" del Sé
:?:

Se ti rifai ai testi, come si evince da tutto quello che scrivi, sarebbe opportuno riportare correttamente le definizioni.
Il jiva è "la fallace rappresentazione della Buddhi che sperimenta gli oggetti" (Shankara).

Se avessi letto il Panchikarana Varttika, avresti altresì appreso che non vi è distinzione tra gli oggetti della sperimentazione ed il soggetto sperimentante (altrimenti non si potrebbe avere una esperienza).
Per il Vedanta il complesso psicofisico NON è una macchina inseziente: quella è la visione del Samkhya, che è dualista. Sarebbe opportuno che non facessi confusione su punti così dirimenti.

latriplice
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da latriplice » 12/04/2017, 14:36


IL JIVA


Questo riflesso del Sé (nel corpo sottile) che ignorantemente si identifica con il corpo grossolano è chiamato jiva. Il jiva senza un’adeguata indagine, pensa di essere diverso da Ishvara.

Essenzialmente, il jiva è un essere incarnato cosciente. Ma dal momento che il corpo e la mente sono materia inconscia, viene da chiedersi come sia possibile l’aspetto cosciente? È possibile dal momento che il corpo sottile può “riflettere” la coscienza dal Sé, simile al modo in cui la luna, che non dispone di luce propria, rifletta la luce del sole. Il riflesso della coscienza rende possibile per l’ego, un pensiero inconscio di individualità e di proprietà, di rivendicare il corpo e la mente come se stesso, creando un individuo apparente. Il riflesso del Sé, l’ego, la mente ed il corpo - il jiva - sono mithya.

Ishvara è il Sé in associazione con maya. Il jiva è il Sé in associazione con l’ignoranza. A causa della differenza nelle loro appendici limitanti (rispettivamente maya ed ignoranza), viene erroneamente concluso che vi sia una effettiva differenza tra Ishvara ed il jiva.


Un’appendice limitante (upadhi) è qualcosa che sovrappone i suoi attributi sul Sé, il quale non ha attributi o qualità. Un buona illustrazione è l’acqua contenuta in un bicchiere dal colore verde, l’acqua corrispondente al Sé ed il bicchiere corrispondente all’appendice limitante. Quando l’acqua è associata con il bicchiere, assume l’aspetto di essere di colore verde e cilindrico, quando è effettivamente informe ed incolore.

Allo stesso modo, quando il Sé è associato con le appendici limitanti di maya e ignoranza, essa sembra essere Ishvara ed il jiva rispettivamente, nonostante sia in realtà coscienza senza forma. Ora, nell’esempio di cui sopra, l’acqua ed il bicchiere sono oggetti separati che esistono indipendentemente l’uno dall’altro, ma questo non si applica nel caso di Ishvara, il jiva ed il Sé. Entrambi Ishvara ed il jiva sono mithya, i quali non sono separati ed indipendenti da sathya, il Sé. E dal momento che Ishvara ed il jiva sono mithya, la loro “associazione” con il Sé è anch’essa mithya. Non vi è alcuna associazione reale, solo la sua apparenza.

Samsara, la continua sofferenza causata dalla identificazione con il corpo e la mente, persiste fintanto che questa erronea conclusione rimane. Pertanto, la conclusione della differenza tra il jiva ed Ishvara non può essere accettata.

La sofferenza persiste fino a che la non differenza tra il jiva ed Ishvara non viene compreso, o in altre parole, fino a quando la verità della non-dualità è chiara. Comprendere che cos’è il Sé, perché sei il Sé, e perché l’individuo, il creatore e la creazione sono te, ma tu nel contempo sei libero dalla loro influenza, è la libertà, moksha. Come lo si può realizzare? L’argomento conclusivo viene ora esposto.

Tratto dal Tattvabodha Shri Adi Shankaracharya con il commento di di Vishnudeva Sanders presente nel topic auto-indagine
Il jiva è la consapevolezza con il corpo sottile. Il jiva è un principio eterno, non una persona specifica. E' a tutti gli effetti pura consapevolezza, Paramatma. Il corpo sottile è fatto di sattva. E' riflettente. Essa riflette la pura consapevolezza nella forma del "senso" della presenza cosciente noto a tutti.

L'eterno jiva ha tre livelli di conoscenza:

1) Il jiva che pensa che è una persona. Questo jiva viene spesso chiamato l'agente o l'essere umano, colui identificato con gli oggetti. Gli umani che non conoscono nulla riguardo la consapevolezza sono chiamati samsari, perché sono completamente intrappolati nella tela del samsara, la realtà apparente.

2) Il jiva che conosce la consapevolezza ma non sa cosa significa essere la consapevolezza ed è ancora controllato dalle vasane. Avendo una auto-conoscenza indiretta viene identificato come un jiva realizzato.

3) Il jiva che sa di essere la consapevolezza, cosa significa essere la consapevolezza, le cui vasane sono state neutralizzate dall'auto-conoscenza. Di questo jiva si dice che è un jiva liberato o illuminato (jivamukta).

Sebbene la natura del jiva ed Ishvara è la consapevolezza, entrambi sono fattori non costanti in riferimento alla consapevolezza. Il jiva è incostante perché si modifica di stato in stato (veglia, sogno, sonno) e anche perché l'auto-conoscenza rimuove la nozione che è una entità limitata, rivelando la sua natura ad essere la pura consapevolezza. Ishvara nel ruolo del creatore è incostante perché sia la logica che le scritture ci informano che scompare alla fine del ciclo creativo; Ishvara nel ruolo del creatore è eterno in riferimento al jiva ma non in riferimento alla pura consapevolezza, il fattore costante.

Per estrarre una identità da una serie di avvenimenti, reali o immaginati, non funziona. La mia storia personale, l'idea che ho di me stesso, non è me. Se vuoi sapere chi sei, sottrai la tua storia. Quello che rimane sei tu, una semplice consapevolezza o essere cosciente. Non ci sono due di te o tre di te. C'è soltanto una ordinaria consapevolezza sempre presente.

In risposta a coloro che dicono che chi risolve l'io, è l'io stesso sono costretto mio malgrado a riportare per l'ennesima volta un estratto dell'intervista di Raphael per sfatare questo mito:
Tratto da "Intervista a Raphael" da The Inner Quest Website – Articles and Teachings

D: Circa quattro anni fa, una sera ho cominciato a ripetere nella mia mente la frase “io sono Quello” e all’improvviso sono stato colpito dal fatto che l’ “io” che avevo assunto di essere non aveva nulla a che fare con Quello. Prima di questa presa di coscienza, ero solito pensare che l’ “io”, che è tutti questi concetti che io consideravo di essere, sarebbe diventato Quello per mezzo della Realizzazione. In quell’istante ho visto che Quello non aveva nulla a che fare con questi concetti; vedere questo è stato molto importante per me.

R: Si, naturalmente non ha nulla a che fare con l’ego, l’ “io”. L’ “io” è una non-realtà ma questo è un errore che fanno tutti.
"...Difatti è l'io che discrimina, il Sè è, non discrimina tra gli opposti e le opzioni. Cosa avrebbe mai da discriminare il Sè, forse che non sa chi è sè stesso? Che bisogno avrebbe di discriminare tra Sè e non sè?.."

Certo, l'io deve pur tirare a a campare.

Il jiva è il Sé-consapevolezza-Brahman in associazione con l'ignoranza-maya. Cosa succede se quella ignoranza viene rimossa?

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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da Fedro » 12/04/2017, 15:08

latriplice ha scritto:
12/04/2017, 14:36


In risposta a coloro che dicono che chi risolve l'io, è l'io stesso
Ho la sensazione sempre più netta che tu leggi quello che preferisci e non quello che viene scritto: chi avrebbe d'altronde detto simile fesseria?
È stato detto che va indagato lì stesso dove sei adesso, ergo dove c'è l'io, perché quello c'è che osserva..evitando così di saltellare altrove con la mente per poi, vedi tuo caso, fornirci questi noiosi e lunghi sermoni, senza un briciolo di testimonianza personale.

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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da latriplice » 12/04/2017, 15:33

Sei tu che non leggi i vari interventi, prima di dare del fesso a qualcuno informati. Inoltre nel dissolvere l'ignoranza non c'è nulla di personale.

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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da Fedro » 12/04/2017, 15:57

latriplice ha scritto:
12/04/2017, 15:33
Sei tu che non leggi i vari interventi, prima di dare del fesso a qualcuno informati. Inoltre nel dissolvere l'ignoranza non c'è nulla di personale.
Eh bravo...dunque dire che qualcuno avrebbe scritto una fesseria, significa che ti sto dando del fesso?
Sapessi quante ne scrivo io...
Comunque sia: chi avrebbe allora affermato ciò che dici?
Che significa che non c'è nulla di personale nel dissolvere l'ignoranza? Forse che la testimonianza di Ramana è qualcosa di personale? Eppure c'è.. ed è lì, laddove lo dice e non altrove.
Ma non occorre essere lui per utilizzare i semplici passi che si compiono (che sia il tuo corpo o la tua consapevolezza, a me non importa)
Perché non smetti di utilizzare i testi (interpretati in modo personale) per suffragare le tue opinioni e credenze?

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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da latriplice » 12/04/2017, 16:34

:D
Si raccomanda di tenere il forum libero da conflittualità e oscurità di ogni genere.
Grazie

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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da Fedro » 12/04/2017, 16:44

latriplice ha scritto:
12/04/2017, 16:34
:D
Si raccomanda di tenere il forum libero da conflittualità e oscurità di ogni genere.
Grazie
In altre parole, per evitare conflittualità: sarebbe il caso di evitare di calare dall'alto insegnamenti che non sono propri, attenendoci alla testimonianza personale.
Il dialogo e quindi la non conflittualità, dipende sopratutto da quanto sia sincero, onesto, genuino ciò che porgiamo.
L'oscurità: oltre che dall'incomprensione dei testi, è anche conseguenza della mancanza d'onestà cui sopra.

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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da cielo » 12/04/2017, 17:19

latriplice ha scritto:
12/04/2017, 1:17
Cielo ha scritto:

Dopo che lo so, da tutte le salse assaggiate, che sono Quello non ho risolto il problema dell'io. Forse ti dimentichi che chi risolve l'io, è l'io stesso.

Difatti è l'io che discrimina, il Sè è, non discrimina tra gli opposti e le opzioni. Cosa avrebbe mai da discriminare il Sè, forse che non sa chi è sè stesso? Che bisogno avrebbe di discriminare tra Sè e non sè?
L'auto indagine e il processo discriminativo lo svolge proprio la mente, ossia l'ego.
E' proprio la mente\ego che, indagando su se stessa, si risolve nel Sè. Si riassorbe nella Sorgente.
Cercando le sue stesse radici e origini, ovvero il classico "chi sono io", intanto smorza ogni altro pensiero che normalmente cavalca l'io stesso e così facendo, focalizzando e centrando l'attenzione sulla Fonte, l'indagine sul soggetto "io", lo risolve ( si risolve..) in Quello.
Questi sono i presupposti esposti dall'atma-vicara di Ramana e da altri conoscitori, inutile manipolarli come argilla per farne simulacri e costruzioni concettuali. Il viaggio è lungo e come viene detto: "la coscienza parla nel supremo Silenzio". Viene scomposta nei tre stati di coscienza, proprio come le lettere del Pranava A U M, si fondono nell'Oṃ

Quando l'io si risolve in Quello, ovvero quand,o dopo lunga discriminazione, dopo aver risolto ogni possibile "ciò che non sono" e dissolto ogni idea, pur suprema, non resta altro da discriminare.
Quando i molteplici oggetti in cui l'io solitamente si identificava (io sono questo e quello..) vengono discriminati e risolti per "non essere io", rimane solo l'io stesso da discriminare, solo che accade che si scopre che l'io che si credeva a parte dagli oggetti è invece i medesimi, ossia l'io è la composizione dei vari "io sono questo e quello", come i mattoni fanno una casa; risolti i mattoni hai risolto anche la casa.
Peccato che non lo scopri (realizzi..) sino all'ultimo mattone.

Ricorda Raphael:
Siamo dunque il Testimone-coscienza di tutto il processo-divenire in noi; vale a dire, siamo i Testimoni dell’intero “secondo” fenomenico. Per riconquistare la nostra più profonda natura dovremo risolvere lo stimolo o l’istanza di estroversione che ci fa uscire dal nostro stato essente.
Rimane ovvio che queste cose vanno sperimentate, non teorizzate.
Non importa quanto l'ego cambi per il meglio, non andrà mai a trasformarsi nel Sé.

La persona apparente, e per “persona” intendo il complesso mente-corpo-sensi comprese tutte le sensazioni, emozioni e pensieri che sono esperiti da essa e apparentemente appartengono ad essa, è solo un oggetto nella consapevolezza come qualsiasi altro oggetto. Così, la persona apparente è in realtà inerte e insenziente e quindi, incapace di conoscere se stessa. Il complesso mente-corpo-sensi che costituisce il singolo individuo apparente che prendiamo per noi stessi in realtà è niente di più che un elaborato meccanismo che, una volta illuminato dalla consapevolezza, genera l'esperienza che conosciamo come la vita della persona comprese eventuali processi discriminativi da essa svolti. Pertanto il vero conoscitore non è l'ego, ma la consapevolezza-Sé.

C'è il sole, c'è il mare mosso dalle onde, e c'è il riflesso del sole sulla superficie del mare.

Il sole è il Sé-Brahman, il mare è la sostanza mentale, le onde sono le sensazioni, le emozioni ed i pensieri incluso la nozione dell'ego che solcano la superficie della sostanza mentale, ed il riflesso del sole sulla superficie del mare è il jiva.

Il jiva non è nient'altro che quella "parte" del Sé associato alla sostanza mentale che a causa del suo moto superficiale genera la sensazione apparente che il Sé sia in movimento, ecco perché tutti abbiamo l'impressione di essere degli agenti.

Quando mediti le modificazioni mentali vengono attenuate a tal punto che il riflesso del Sé appare evidente come il disco solare appare nitido sullo specchio d'acqua di uno stagno. Magari non sei completamente soddisfatta di come sta andando la meditazione perché la vorresti perfezionare.

Pertanto abbiamo questo quadretto: da una parte c'è un ego che vuole soddisfare una sua esigenza, dall'altra c'è il riflesso del Sé, e poi c'è questa luce del Sé-consapevolezza che li illumina entrambi. Può accadere che tu ti riconosca in quest'ultima. Ma chi dei tre si riconosce nel Sé-consapevolezza?

Non ti dice nulla:

Brahma satyam, jagan mithya, jivo brahmaiva naparah?
Latriplice, ti ringrazio per lo sforzo che fai ogni volta per illustrarci la tua visione - interpretazione della filosofia del vedanta advaita. E' encomiabile la tua appplicazione allo studio dei testi "canonici" e degli studiosi che hanno stratificato i propri commenti e interpretazioni. Segui perfino testi e video inglesi, beato te che comprendi l'inglese parlato e ti misuri con testi in altre lingue, io invece ne ho abbastanza dei testi di riferimento in italiano. Ne consulto e ripasso ben pochi, quelli con i quali entro maggiormente in risonanza.
Le tue sintesi denotano che tu sei attratto da una certa filosofia, ma il darshana yoga (quello di Patanjali: si vedano gli yoga sutra col commento di Raphael per approfondimenti) ci evidenzia che l'attrazione (raga) si accompagna sempre all'avversione (dvesha) e che se vogliamo percorrere la via del ritorno: ni-vritti, dobbiamo silenziare le nostre modificazioni mentali.
Dunque dobbiamo stare attenti ogni volta che ci sentiamo attratti da una "visione filosofica" perchè il rischio è quello sia di provare ripugnanza per altre visioni, mentre ogni darshana ha il suo senso di essere, essendo i ricercatori diversi, con diverse attitudini e "scorie" da eliminare; sia di generare moltissime "vritti" per sostanziare all'esterno la nostra visione.
Di conseguenza, secondo me, non esiste IL metodo o modo di essere "filosofico" quale approccio concettuale unico e universale e valido per tutti alla Verità, ma I metodi che si scelgono e si interpretano a seconda delle proprie inclinazioni.
Che poi tu voglia per tua gratificazione mentale offrirci squisiti manicaretti in salsa vedanta, va benissimo. Eventualmente chi decide di mettersi a dieta si contenterà di pochi striminziti sutra di Shankara o di Dattatreya.
Teniamo sempre presente che non possono esistere due verità, così come non possono esistere due menzogne, di conseguenza il gioco di raga dvesha dovrebbe essere trasceso in modo che nessuno dei "corpi" ci intrappoli dando consistenza e sostanza ad un io che non c'è.

cielo
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da cielo » 12/04/2017, 17:30

Fedro ha scritto:
12/04/2017, 15:08
latriplice ha scritto:
12/04/2017, 14:36


In risposta a coloro che dicono che chi risolve l'io, è l'io stesso
Ho la sensazione sempre più netta che tu leggi quello che preferisci e non quello che viene scritto: chi avrebbe d'altronde detto simile fesseria?
È stato detto che va indagato lì stesso dove sei adesso, ergo dove c'è l'io, perché quello c'è che osserva..evitando così di saltellare altrove con la mente per poi, vedi tuo caso, fornirci questi noiosi e lunghi sermoni, senza un briciolo di testimonianza personale.
Io ho detto simili fesserie, solo che latriplice ha estratto solo una frase di quanto detto.
Prova a leggere tutto e valuta se di piena fesseria si tratta, che del caso chiamiamo seva lo spazzino e ripuliamo.
Mi affido alla clemenza della Corte.

Cielo ha scritto:

"Dopo che lo so, da tutte le salse assaggiate, che "Io sono Quello" non ho risolto il problema dell'io. Forse ti dimentichi che chi risolve l'io, è l'io stesso.

Difatti è l'io che discrimina, il Sè è, non discrimina tra gli opposti e le opzioni. Cosa avrebbe mai da discriminare il Sè, forse che non sa chi è sè stesso? Che bisogno avrebbe di discriminare tra Sè e non sè?
L'auto indagine e il processo discriminativo lo svolge proprio la mente, ossia l'ego.
E' proprio la mente\ego che, indagando su se stessa, si risolve nel Sè. Si riassorbe nella Sorgente.

Cercando le sue stesse radici e origini, ovvero il classico "chi sono io", intanto smorza ogni altro pensiero che normalmente cavalca l'io stesso e così facendo, focalizzando e centrando l'attenzione sulla Fonte, l'indagine sul soggetto "io", lo risolve ( si risolve...) in Quello.
Questi sono i presupposti esposti dall'atma-vicara di Ramana e da altri conoscitori, inutile manipolarli come argilla per farne simulacri e costruzioni concettuali.
Il viaggio è lungo e come viene detto: "la coscienza parla nel supremo Silenzio". Viene scomposta nei tre stati di coscienza, proprio come le lettere del Pranava A U M, si fondono nell'Om. (...)"

Mauro
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da Mauro » 12/04/2017, 18:26

Ci sono due concetti che sono stati espressi qui e che mi hanno lasciato perplesso.
Uno è definire corpo e mente "materia inerte ed insenziente"; l'altro è definire l'ego come "non Sè".

È evidente che il primo concetto è preso di sana pianta dal Samkhya.
Lecito, ma non nell' ambito nondualistico.
Il Samkhya è dualista e stabilisce l'esistenza di due Princìpi: uno agente ed insenziente/ inconsapevole (Prakriti), ed uno non agente e senziente/ consapevole (Purusa).
Mescolare le proprietà di entrambi per definirne una (corpo e mente nel Samkhya appartengono alla Prakriti), per cui ciò che appartiene alla Prakriti risulterebbe insieme non agente e non consapevole, NON è Vedanta. È un minestrone.
I testi upanishadici e la bhasya dei maestri del Vedanta parlano di "riflessi di Coscienza", anche per definire il sottile mentale e il grossolano fisico.
Non è che ci troviamo di fronte al burattino di Geppetto (corpo e mente), che da inerte, per volontà della Fata Buona (la Coscienza), si anima.
No. La Coscienza è unica ed indivisibile. Tutto ciò che esiste, anche nella fase velante o proiettiva, altro non è che la Coscienza stessa.
Questo chiarisce anche come sia fallace la definizione di "non-Sè". Cosa è non Sè? Può esistere il non-essere?
L' upanishad ha già risposto al quesito: "come può derivare l'Essere dal non-Essere? La verità è che tutto questo proviene dall'Essere Uno e senza secondo" (cit.)

Mauro
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da Mauro » 12/04/2017, 20:19

Oltretutto, quando latriplice cita R. con questa frase:
R: Si, naturalmente non ha nulla a che fare con l’ego, l’ “io”. L’ “io” è una non-realtà ma questo è un errore che fanno tutti.
, forse non ha fatto caso che R. parla dell'ego come "non-realtà", e non come "non-Sè" o "non-Essere".
Distinzione sottile ma dirimente.

latriplice
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da latriplice » 12/04/2017, 22:58

Mauro ha scritto:
12/04/2017, 18:26
Ci sono due concetti che sono stati espressi qui e che mi hanno lasciato perplesso.
Uno è definire corpo e mente "materia inerte ed insenziente"; l'altro è definire l'ego come "non Sè".

È evidente che il primo concetto è preso di sana pianta dal Samkhya.
Lecito, ma non nell' ambito nondualistico.
Il Samkhya è dualista e stabilisce l'esistenza di due Princìpi: uno agente ed insenziente/ inconsapevole (Prakriti), ed uno non agente e senziente/ consapevole (Purusa).
Mescolare le proprietà di entrambi per definirne una (corpo e mente nel Samkhya appartengono alla Prakriti), per cui ciò che appartiene alla Prakriti risulterebbe insieme non agente e non consapevole, NON è Vedanta. È un minestrone.
I testi upanishadici e la bhasya dei maestri del Vedanta parlano di "riflessi di Coscienza", anche per definire il sottile mentale e il grossolano fisico.
Non è che ci troviamo di fronte al burattino di Geppetto (corpo e mente), che da inerte, per volontà della Fata Buona (la Coscienza), si anima.
No. La Coscienza è unica ed indivisibile. Tutto ciò che esiste, anche nella fase velante o proiettiva, altro non è che la Coscienza stessa.
Questo chiarisce anche come sia fallace la definizione di "non-Sè". Cosa è non Sè? Può esistere il non-essere?
L' upanishad ha già risposto al quesito: "come può derivare l'Essere dal non-Essere? La verità è che tutto questo proviene dall'Essere Uno e senza secondo" (cit.)
Gli uomini si ingannano nel ritenersi liberi, e questa opinione consiste solo in questo, che essi sono consapevoli delle loro azioni ma sono ignari delle cause da cui sono determinati. Questa è dunque la loro idea di libertà dal momento che non conoscono alcuna causa delle loro azioni.

http://www.athenenoctua.it/lesperimento ... te-liberi/

Mauro
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da Mauro » 13/04/2017, 8:17

Gli uomini si ingannano nel ritenersi liberi, e questa opinione consiste solo in questo, che essi sono consapevoli delle loro azioni ma sono ignari delle cause da cui sono determinati. Questa è dunque la loro idea di libertà dal momento che non conoscono alcuna causa delle loro azioni.
E che c'azzecca questo con ciò che ho scritto?
Premesso che la mia idea di libertà non è quella che mi attribuisci, io non ho mai scritto di "ritenermi libero", anzi, chi ha letto le mie testimonianze ha appurato il contrario.
Nel precedente post ho parlato d'altro. Ho semplicemente affermato che la dottrina che propugni ha molti punti critici tra cui quelli esposti sopra da me (affermazione dell'insenzienza ed inerzia del complesso sottile grossolano, e definizione dell'ego come "non-Sè").
Ma tu non solo non hai risposto, ma hai glissato spostando l'attenzione del discorso presentando un argomento non attinente a quanto da me esposto, per giunta con una ennesima citazione/ link.

cielo
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da cielo » 13/04/2017, 11:41

Mauro ha scritto:
12/04/2017, 20:19
Oltretutto, quando latriplice cita R. con questa frase:
R: Si, naturalmente non ha nulla a che fare con l’ego, l’ “io”. L’ “io” è una non-realtà ma questo è un errore che fanno tutti.
, forse non ha fatto caso che R. parla dell'ego come "non-realtà", e non come "non-Sè" o "non-Essere".
Distinzione sottile ma dirimente.
Esatto, concordo. L'io è una mera apparenza funzionale a conoscere gli oggetti che esistono nel relativo, è una non - realtà dove per Reale si intende Realtà assoluta: sempre presente, non soggetta a nascita e morte, priva di attributi che definiscono, dunque indescrivibile tramite quegli attributi (guna) che invece sono connaturati agli oggetti perituri.
Dire che l'io connaturato all'incarnazione, alla discesa nella materia è non-Sè è fuorviante. Consideriamo che ciò che siamo attualmente è il prodotto di un sankalpa (una volontà causale) proiettata dal Sè (che siamo), che temporaneamente si invischia osservando la propria immagine nel mondo materiale dove, per forza di cose si indossa un nome - forma.
La consapevolezza dell'io che si identifica con i sensi non si può negare, c'è, finche siamo viventi c'è. Perfino Ramakrishna e Ramana hanno indossato sottilissimi "io" per poter stare nel mondo, almeno temporaneamente, visto le schiere di discepoli adoranti che gli ronzavano intorno e custodivano i loro corpi ove troppo "consumati" dal nirvikalpa samadhi a cui erano avvezzi.
I discepoli o aspiranti "mistici" tendono a percorrere la via della bakti perchè di minore resistenza.
Nel percorso bhakti questa consapevolezza dell'io viene sempre più assottigliata per farla entrare nella cruna dell'ago che porta al tabernacolo del Sè, nel Cuore. Al Sè viene donata, senza alcuna richiesta in cambio.
Poi quando il vaso d'argilla sarà sufficientemente sottile, cotto nell'ardore del tapas, formerà delle crepe fino a spezzarsi definitivamente.
E allora non ci sarà più alcuna differenza tra l'aria dentro il vaso e quella fuori dal vaso.
Durante il divenire dell'incarnazione la contaminazione del Sè nella forma che lo ospita è apparente, illusoria, ma noi ci crediamo, ci separiamo, temiamo che il vaso si spezzi, ma il vaso non è l'aria. In questo senso, forse, l'introduzione del concetto del non-sè, anche se nulla è fuori dal Sè.

Mi viene in mente la storia di Śankaracharya che, mentre stava salendo i gradini del gath sul Gange dove aveva appena terminato di fare il bagno, vide davanti a sè un intoccabile con al seguito una masnada di cani. "Mi hai toccato!" disse Śankaracharya. "Reverendo", disse il pariah, "io non l'ho mai toccata, nè lei ha toccato me. Il Sé è il Governante interno di tutti e non può essere contaminato. C'è forse qualche differenza tra il riflesso del sole nel vino e quello nel Gange?"

"Fintanto che quella copertura rimane, la formula vedantica "Io sono Quello", cioè "l'uomo è il Brahman supremo", non può essere applicata correttamente. L'onda è parte dell'acqua, ma l'acqua non è parte dell'onda. Fintanto che quella copertura rimane, si dovrebbe invocare Dio come Madre.

"Dio gioca sulla terra quale Incarnazione, manifestando così la gloria di Chitśakti, il Potere Divino. Ciò che è Brahman è anche Rama, Krishna e Śiva".

(brani tratti dall Vangelo di Ramakrishna, vol. I, pag. 499 - 502. Ed . I Pitagorici)

Mauro
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da Mauro » 13/04/2017, 11:57

Mi viene in mente la storia di Śankaracharya che, mentre stava salendo i gradini del gath sul Gange dove aveva appena terminato di fare il bagno, vide davanti a sè un intoccabile con al seguito una masnada di cani. "Mi hai toccato!" disse Śankaracharya. "Reverendo", disse il pariah, "io non l'ho mai toccata, nè lei ha toccato me. Il Sé è il Governante interno di tutti e non può essere contaminato. C'è forse qualche differenza tra il riflesso del sole nel vino e quello nel Gange?"
https://www.youtube.com/watch?v=Ewta7YJCmyw

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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da latriplice » 14/04/2017, 11:24

Mauro ha scritto:
13/04/2017, 8:17
Gli uomini si ingannano nel ritenersi liberi, e questa opinione consiste solo in questo, che essi sono consapevoli delle loro azioni ma sono ignari delle cause da cui sono determinati. Questa è dunque la loro idea di libertà dal momento che non conoscono alcuna causa delle loro azioni.
E che c'azzecca questo con ciò che ho scritto?
Premesso che la mia idea di libertà non è quella che mi attribuisci, io non ho mai scritto di "ritenermi libero", anzi, chi ha letto le mie testimonianze ha appurato il contrario.
Nel precedente post ho parlato d'altro. Ho semplicemente affermato che la dottrina che propugni ha molti punti critici tra cui quelli esposti sopra da me (affermazione dell'insenzienza ed inerzia del complesso sottile grossolano, e definizione dell'ego come "non-Sè").
Ma tu non solo non hai risposto, ma hai glissato spostando l'attenzione del discorso presentando un argomento non attinente a quanto da me esposto, per giunta con una ennesima citazione/ link.
Evidentemente ho mal interpretato i versi di quel testo indiano......della dottrina che propugno :D ....com'è che si chiama.....ah sì, la Bhagavadgita.

5. Né alcuno, anche per un istante, può rimanere senza agire, perché inevitabilmente è sospinto alle azioni dalle qualità (guna) di prakrti.

27. Tutte le azioni sono impulsate dai guna, ma chi è sottomesso al suo io (empirico) pensa: "Sono io che agisco"
.

Cap. terzo Bhagavadgita

8. Colui che si è unificato e che conosce l'essenza dei fenomeni (mithya) deve dire: io non faccio in verità alcuna cosa. vedendo, udendo, toccando, odorando, mangiando, camminando, dormendo, respirando.

Cap. quinto Bhagavadgita

7. O Dhanamjaya, non c'è niente che mi sorpassi, tutte le cose dipendono da ME, come le perle (dipendono) dal filo (che le sostiene).

12. Sappi che le esistenze di qualità del sattva, del rajas e del tamas provengono tutte da Me: Io non sono in esse, ma esse sono in Me.


Cap. settimo Bhagavadgita

29. Colui che comprende che tutte le azioni sono prodotte solo dalla prakrti e altresì comprende che l'atman rimane non-agente, quello veramente vede (satya).

Cap. 13 Bhagavadgita

19. Quando il veggente comprende che i soli agenti sono i guna e comprende ancora ciò che sta di là dai guna, egli entra nella mia essenza.

Cap. 14 Bhagavadgita


Tu che ci azzecchi con questi versi? Che una volta compresi l'io si ritrova senza il suo alimento principale per tirare a campare, Il percorso quasi infinito della ricerca che assicura la continuazione dell'esperienza personale?

61. Perché Ishvara, o Arjuna, risiede nella regione del cuore di tutti gli esseri e, mediante il potere di maya, fa muovere tutte le creature come se ciascuna di esse non fosse altro che una ruota di una grande macchina.

Cap. diciottesimo Bhagavadgita


La sensazione di primo acchito dopo aver letto questi versi, come nel mio caso, è stata quella di essere stato un burattino per tutta la "mia" vita.
Pertanto due sono le possibilità: o l'hai interpretata correttamente o non l'hai interpretata correttamente. Oppure l'hai bollata come una visione post canne irrealistica di un rishi in vena di burle. Evidentemente sono troppo letterale nelle mie interpretazioni, ma ho scoperto che mantenere un approccio scientifico in questa materia, perché il Vedanta é una scienza (quindi non opinabile), mi ha risparmiato un sacco di confusione.

Mauro
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da Mauro » 14/04/2017, 12:13

No, guarda, evidentemente non riesco a farni capire.
A parte il fatto che la BG è un testo sincretistico nel quale trovi un tentativo di sintesi delle antiche visioni (quindi non è solo Vedanta), per cui può essere letta solo nella sua completezza, e non estrapolandone i sutra, il problema non è se le azioni siano o no compulsate da una causa agente e quale sia questa causa.
Il problema è che fai confusione sulla funzione della prakriti, e i sutra da te riportati chiariscono ulteriormente la confusione che fai al riguardo.
Infatti o supponi che la prakriti sia attiva e non consapevole mentre il Purusha, inattivo e consapevole, crede di esserne schiavo in quanto invischiato indissolubilmente (e questa è la visione canonica del Samkhya, ed è quanto dètta la BG nei sutra da te riportati), -e va bene-, ma se dici (come hai detto) che la prakriti è "inerte" e quindi in qualche modo "eterodiretta", entri in una contraddizione nella quale peraltro la BG non cade negli stralci da te riportati, perchè considera la prakriti sempre agente e compulsata dai guna. Vedi, certe contraddizioni in termini nascono quando si vuol fare l'ermeneutica di testi complessi e un pò insidiosi come la BG, oltretutto con la pratica dell'estrapolazione dei sutra e non tramite una visione sintetica del testo. Ti suggerisco caldamente, per non cadere in altre contraddizioni logiche, di far fare tale lavoro di ermeneutica ad altri che operano su più elevati livelli di consapevolezza piuttosto che noi.

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