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I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

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latriplice
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da latriplice » 09/04/2017, 15:48

A-U-M ha scritto:

Ti ringrazio dell'indirizzo di quel video, ma purtroppo ho troppa difficoltà con l'inglese parlato.
Lo hai presentato però dicendo che esso si rivolge direttamente a me: a me chi? A me in quanto assoluto? Se a ciò seguisse un letterale dissolversi della forma-bambolina nell'infinito della mia assolutezza... che accadrebbe? E' proprio da lì che essa è sorta: cosa impedirà che ne salti fuori di nuovo una più o meno simile? Credo sia questo il discorso che nell'argomento "è solo un'occhiata" vi ha tenuti impegnati per tante pagine senza uscirne, e che forse si può capire senza tante parole comprendendo che quel "dissolversi" della bambolina non è una sparizione formale, ma solo un riconoscimento (che il sale della forma di bambola è lo stesso del sale del mare infinito), o, se vogliamo, una disidentificazione (del sale dalla semplice forma di bambolina). Se invece la forma sparisce davvero, letteralmente, formalmente, allora saremmo punto e d'accapo: in fondo, anche all'inizio non c'era nessuna bambolina (identificata alla propria forma e quindi ignorante della propria natura di sale), eppure è sorta...
".....Credo sia questo il discorso che nell'argomento "è solo un'occhiata" vi ha tenuti impegnati per tante pagine senza uscirne...."

Il protrarsi dell'argomentazione era dovuta alla tenacia ostinatezza perseverante di Kaara di indulgere nell'osservare da una prospettiva dualistica una questione che ha la sua ragione d'essere appunto da tale prospettiva, diversamente risolvibile se avesse preso in considerazione gli assunti del Vedanta che stabilisce la natura non-duale della realtà, che ho puntualmente già dalla prima pagina, fatto presente:
KaRaa ha scritto:

E' così strano pensare che tutto si ripeterà con altrettanta facilità?
E' così strano, quindi, pensare di porre i semi di una alternativa, ovvero che ci possa essere una CONCESSIONE AD UN COMPROMESSO?

4) Concessione ad un compromesso.
Per fare una analogia, il compromesso proposto (secondo me, più o meno esplicitamente, anche dai Maestri) è svegliarsi da questo sonno ishvarico, perdendo l'identificazione verso il jiva, ma...
...ma continuando ad immaginare, o al massimo a sognare lucidamente.
Nessun rischio di rimanere in questo sogno totalizzante, e neanche nessun rischio di nuovi addormentamenti totali dopo un eventuale risveglio totale.

L'ho spiegato bene, al di là che non si sia d'accordo? E, nel caso, in che modo non ci accordiamo? Voglio dire, l'iter Ishvara-mondo-jiva, con il Brahman quale unica "sostanza" di tale iter, è chiaro per entrambi. Forse neghi il fatto che la nostra condizione sia descrivibile come "Brahman addormentato"? Oppure neghi che sia possibile un nuovo addormentamento?
Latriplice ha scritto:

A quanto vedo stiamo esaminando la maya dalla prospettiva della maya pertanto è naturale che sorgano dei problemi semantici nel tentativo di inquadrarla razionalmente e trovare un compromesso sul suo significato. Della maya dispongo di questo dato: è irreale eppure è sperimentabile. Come è possibile che ciò avvenga? A meno che non prenda in considerazione quello che la tradizione afferma: la realtà è fondamentalmente non-duale.
Cosa significa? Che ogni e qualsiasi esperienza può essere solo il Sé che sperimenta il Sé. Quando per esempio mi lavo i denti, è il Sé (apparentemente) che spazzola il Sé. Dico "apparentemente" perché ogni esperienza è apparente, la collusione tra un apparente soggetto ed un apparente oggetto. Può essere solo apparente perché il Sé è coscienza non-duale e senza nascita e ogni cosa lo è ..... pertanto non c'è nulla in realtà che stia accadendo.

Lo so che come tesi non è intellettualmente soddisfacente, ma possiamo ovviare a questa impasse dicendo che c'è un unico principio che appare duale. In effetti le varie tradizioni indicano due principi coesistenti che sono alla base della dualità, ma questa distinzione è solo come dicevo, apparente:

Brahman e Maya, Zolfo e Mercurio, Ain Soph Aur e Kether.....in sostanza consapevolezza e mente che sono la fondamentale dualità.

Una è ciò che è, l'altra è ciò che appare essere. In altre parole una è la realtà, l'altra è una sua rappresentazione. Per esempio la più ardita rappresentazione della mente ad emulare la consapevolezza è il nivirkalpa samadhi, che per quanto sia considerato il più elevato raggiungimento spirituale, ciononostante è un oggetto della mente per quanto sottile. Può sembrare una castroneria, ma segui la logica. Una è la realtà e l'altra una sua rappresentazione, e visto che hai nominato la Qabbalah prendiamo l'Albero Sephirotico come modello.

L'Ain Soph è il nostro corrispondente del Brahman, l'assoluto, mentre Kether che racchiude le varie sephirot è sinonimo di maya.
La colonna centrale che collega kether a Malkuth indica vari stati di coscienza o per essere più precisi punti di vista o rappresentazioni sulla realtà Ain soph. Possiamo definirle anche "occhiate" che filtrano l'infinito in riferimento alla tua intuizione.

Malkuth è rappresentarsi in termini di corpo-istinto

Yesod è rappresentarsi in termini di ragione-sentimento

Typhereth è rappresentarsi in termini di coscienza universale non influenzata dal nome e limitata dalla forma

Daath è la presa di coscienza che tra l'essere ed il rappresentarsi corre l'abisso (moksha)

Kether è l'assenza di modificazioni o rappresentazioni mentali (nivirkalpa)


In conformità a "Si diventa ciò che si pensa", in Malkuth abbiamo l'Ain soph che intrattiene il punto di vista di un corpo governato dagli istinti, e la visione che si palesa sarà conforme a quel punto di vista e così via.

In altre parole vediamo la realtà per ciò che è attraverso i filtri della mente ed il risultato è una apparenza.

Tu in quanto Brahman stai osservando te stesso in quanto Brahman, ma non lo sai e vedi qualcos'altro. Maya appunto.

Questo è il succo dell'intera faccenda.
"...e che forse si può capire senza tante parole comprendendo che quel "dissolversi" della bambolina non è una sparizione formale, ma solo un riconoscimento (che il sale della forma di bambola è lo stesso del sale del mare infinito), o, se vogliamo, una disidentificazione (del sale dalla semplice forma di bambolina)..."

Ho forse detto qualcosa di diverso?

Il principio fondamentale del Vedanta è che la realtà è non-duale: c’è soltanto il Sé e nient’altro. Pertanto come è possibile che possa apparire una molteplicità di cose come il corpo sottile, il corpo grossolano, e così via inclusa la bambolina di sale? A causa dell’ignoranza. In altre parole, tramite l’incomprensione vedi innumerevoli oggetti differenti dove in verità c’è solo la coscienza non-duale ed informe, cioé quando ignori il Sé, prendi le apparenze dei vari oggetti come il corpo e la mente per reali sovrapponendoli al Sé e quindi identificandoti con tali sovrapposizioni. Il problema è che da questa prospettiva falsata la questione della maya-apparenza che è la conseguenza dell'ignoranza non può essere risolta finché persiste tale sovrapposizione. Pertanto l’ignoranza “causa” gli oggetti dal momento che fa apparire il Sé non-duale ad essere qualcosa diverso da ciò che realmente è. Nella fattispecie l’ignoranza è sinonimo del corpo causale ed il corpo causale è la causa della mente e del corpo. Dal momento che il corpo causale è la causa di tutto, esso stesso non ha una causa. Pertanto in questo senso è senza inizio, o più precisamente, incausato.
KaaRa ha scritto:

Non c'è un motivo che possa impedire all'assoluto di far apparire in sé questo mondo.
Latriplice ha scritto:

Appunto perché Brahman è illimitato. Se ci fosse un limite verrebbe meno la sua natura illimitata. C'è chi vede l'oceano (Ishvara) e chi vede l'onda (Jiva). C'è chi va al di la delle apparenze e vede l'acqua (Brahman). E poi parafrasando Nisirgadatta: "Perché il Brahman si concede il lusso di questo mondo? Perché per il Brahman il mondo non esiste". Può bastarti questa di risposta.
Pertanto l'ignoranza, in virtù dell'illimitatezza del Brahman, è una sua modalità vitale espressiva e condivide al pari del Brahman, l'eternità. Nel dire che l’ignoranza ha un inizio significa che aveva una non-esistenza precedente. Come può qualcosa che non esiste, come le corna di una lepre, venire mai in esistenza? Non è possibile, pertanto l’ignoranza deve sempre essere esistita. Inoltre, se l’ignoranza aveva una non-esistenza anteriore, che cosa doveva esserci al suo posto? Conoscenza. E se la conoscenza era già presente, l’ignoranza non poteva giungere in esistenza. Così per tutti questi motivi, l’ignoranza deve essere senza inizio e ce la dobbiamo tenere a meno che tu non prenda in considerazione la seguente ipotesi suggerito dal video. Anzi constatazioni evidenti se solo ti concedessi il lusso dell'auto-indagine:

V

QUATTRO MODI PER LA DISSOLUZIONE
Ashtavakra disse:

1. Tu sei libero dal contatto con qualsiasi cosa. Pertanto, puro come sei, a che cosa vuoi rinunciare? Distruggi il complesso corporeo ed in questo modo entra nello stato di dissoluzione.
2. L'universo sorge da te come le onde sorgono dal mare. Così conosci il Sé nell'essere Uno ed in questo modo entra nello stato di dissoluzione.
3. L'universo, poiché è irreale, essendo manifestato come il serpente nella corda, non esiste in te che sei puro, sebbene sia presente ai sensi. Pertanto in questo modo entra nello stato di dissoluzione.
4. Tu sei perfetto e lo stesso in miseria e felicità, speranza e disperazione, e vita e morte. Pertanto in questo modo entra nello stato di dissoluzione.

Astavakra Gita


Il primo verso è una constatazione, il distacco. Il distacco non è da realizzare o da praticare, ma riconoscere che è già presente. Il corpo e la mente e le relative esperienze sono oggetti che appaiono e scompaiono e per questo non sono in alcun modo legate a te, infinita consapevolezza eternamente presente.

A cui segue la seconda constatazione, l'unità. Il distacco non significa separazione poiché gli oggetti appaiono e scompaiono all'interno della tua sfera coscienziale, sancendo così l'unità di entrambi e l’amore universale che ne consegue.

A cui si giunge alla terza constatazione, la dissoluzione. Dal momento che tu non dipendi dagli oggetti per la tua esistenza mentre gli oggetti dipendono da te per la loro esistenza, essi non possono essere altro che te stesso portando così in dissoluzione l'universo che li contiene.

Il quarto verso è una conseguenza dell’aver constatato l’evidenza espressa nei versi precedenti.

"... Lo hai presentato però dicendo che esso si rivolge direttamente a me: a me chi? A me in quanto assoluto?..."

Esattamente, si rivolge a te in quanto assoluto, non alla sovrapposizione di cui si parlava in precedenza che impedirebbe il dissolvimento della tua ignoranza:

"...Il problema è che da questa prospettiva falsata la questione della maya-apparenza che è la conseguenza dell'ignoranza non può essere risolta finché persiste tale sovrapposizione..."

Cioè dalla prospettiva dell'individuo.

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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da Fedro » 09/04/2017, 19:22

Il distacco non è da realizzare o da praticare, ma riconoscere che è già presente. Il corpo e la mente e le relative esperienze sono oggetti che appaiono e scompaiono e per questo non sono in alcun modo legate a te, infinita consapevolezza eternamente presente
Sarà un bel giorno quello in cui la smetterai di fare il neoadvaita, in cui ci si identifica col pensiero di ciò che non si è, considerandosi questo e non quello, oppure cambiando la prospettiva virtuale della mente architetta...
Sarà un bel giorno quello in cui partirai laddove sei, smontando qursti castelli in aria, semplici sovrapposizioni di pensieri acquisiti o dedotti

Mauro
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da Mauro » 09/04/2017, 20:14

Sarà un bel giorno quello in cui la smetterai di fare il neoadvaita, in cui ci si identifica col pensiero di ciò che non si è
C'è da aggiungere che il problema sussiste anche se ci si identifica col pensiero di ciò che si è, perchè se credi qualcosa, anche se è la cosa giusta, non hai fatto altro che -comunque- sovrapporre.
Ecco perchè insisto che "ciò che si è" vada proprio "vissuto", e nelle vesti che indossiamo ora.
IMHO.

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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da Fedro » 09/04/2017, 20:17

Mauro ha scritto:
09/04/2017, 20:14
Sarà un bel giorno quello in cui la smetterai di fare il neoadvaita, in cui ci si identifica col pensiero di ciò che non si è
C'è da aggiungere che il problema sussiste anche se ci si identifica col pensiero di ciò che si è, perchè se credi qualcosa, anche se è la cosa giusta, non hai fatto altro che -comunque- sovrapporre.
Ecco perchè insisto che "ciò che si è" vada proprio "vissuto", e nelle vesti che indossiamo ora.
IMHO.
Certamente, qualsiasi identificazione con un pensiero, qualunque esso sia, non ci azzecca per niente con ciò che si è

latriplice
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da latriplice » 09/04/2017, 20:27

Fedro ha scritto:
09/04/2017, 19:22
Il distacco non è da realizzare o da praticare, ma riconoscere che è già presente. Il corpo e la mente e le relative esperienze sono oggetti che appaiono e scompaiono e per questo non sono in alcun modo legate a te, infinita consapevolezza eternamente presente
Sarà un bel giorno quello in cui la smetterai di fare il neoadvaita, in cui ci si identifica col pensiero di ciò che non si è, considerandosi questo e non quello, oppure cambiando la prospettiva virtuale della mente architetta...
Sarà un bel giorno quello in cui partirai laddove sei, smontando qursti castelli in aria, semplici sovrapposizioni di pensieri acquisiti o dedotti
"...Il problema è che da questa prospettiva falsata la questione della maya-apparenza che è la conseguenza dell'ignoranza non può essere risolta finché persiste tale sovrapposizione..."

Cioè dalla prospettiva della persona che credi di essere. Pertanto in conformità dello yoga, continua pure a praticare.

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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da Fedro » 09/04/2017, 20:46

latriplice ha scritto:
09/04/2017, 20:27
Fedro ha scritto:
09/04/2017, 19:22
Il distacco non è da realizzare o da praticare, ma riconoscere che è già presente. Il corpo e la mente e le relative esperienze sono oggetti che appaiono e scompaiono e per questo non sono in alcun modo legate a te, infinita consapevolezza eternamente presente
Sarà un bel giorno quello in cui la smetterai di fare il neoadvaita, in cui ci si identifica col pensiero di ciò che non si è, considerandosi questo e non quello, oppure cambiando la prospettiva virtuale della mente architetta...
Sarà un bel giorno quello in cui partirai laddove sei, smontando qursti castelli in aria, semplici sovrapposizioni di pensieri acquisiti o dedotti
"...Il problema è che da questa prospettiva falsata la questione della maya-apparenza che è la conseguenza dell'ignoranza non può essere risolta finché persiste tale sovrapposizione..."

Cioè dalla prospettiva della persona che credi di essere. Pertanto in conformità dello yoga, continua pure a praticare.
Praticare è l'esatto senso di non identificarsi (o provare ad osservarlo) con una presunta prospettiva considerata quella "giusta", e che è quindi essa stessa sovrapposizione: quello che proponi è il pensiero neoadvaita e che tenti di identificare nei testi che proponi, interpretandoli tramite tale visione.
Sarebbe già qualcosa, cercare di deporre questa benedetta prospettiva mentale da cui virtualizzare una presunta visione

Mauro
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da Mauro » 09/04/2017, 21:04

Cioè dalla prospettiva della persona che credi di essere. Pertanto in conformità dello yoga, continua pure a praticare.
Va bene i diversi punti di vista, ma parlare di un punto di vista "della persona che credi di essere" riferendosi ad altri e così suggerire che il proprio punto di vista sia scevro di credenze e quindi più "vero", è scorretto, ed espresso in maniera un pò sprezzante.

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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da latriplice » 10/04/2017, 14:32

Fedro ha scritto:

Sarebbe già qualcosa, cercare di deporre questa benedetta prospettiva mentale da cui virtualizzare una presunta visione
Quindi secondo te Ashtavakra, un saggio vissuto nel 500 a.C. sarebbe un precursore del moderno neoadvaita? Incluso Swami Sarvapryananda autore del video sull' Ashtavakra Gita?

If you wish to be free,
Know you are the Self,
The witness of all these,
The heart of awareness.
Set your body aside.
Sit in your own awareness.
You will at once be happy,
Forever still, Forever free.
(...)
You are everywhere,
Forever free.
If you think you are free, You are free.
If you think you are bound, You are bound.

Meditate on the Self.
One without two,
Exalted awareness.


— Ashtavakra Gita 1.4–14, Translator: Thomas Byrom

Da buon yogin sei affascinato dall'esperienza, ma un advaitin che si rispetti più che essere affascinato dall'esperienza è interessato al significato dell'esperienza. Lo yoga si sofferma alle apparenze dettate dai sensi, cioè ad una visione duale in cui si giunge al Sé tramite una pratica. Il Vedanta va oltre le apparenze e svela la natura non-duale del Sé che va riconosciuta per identità. Ovviamente se tu credi di essere un karmin (agente) allora lo yoga ti è più congeniale poiché sei dell'avviso che si possa giungere al Sé tramite il karma (azione), come fosse un oggetto di acquisizione alla stregua di una banana di cui tu sei il bhogin (fruitore). Io sono dell'avviso invece che si possa "giungere" al Sé tramite jnana (conoscenza), poiché la conoscenza è l'unico antidoto all'ignoranza che tu sei il Sé. E dal momento che mi trovo su Vedanta.it e non su yoga.it penso che la mia presenza qui non sia fuori luogo. Tu invece?

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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da Fedro » 10/04/2017, 15:00

Abbiamo già discusso sul pensare di essere (che non è essere). Non sarà certo leggere alla lettera quel sutra che cambierà le sorti dell'indagine jana, non credi?
Altrimenti che parli a fare di sovrapposizioni mentali (ovvero sempre pensieri) che ostacolano la conoscenza di sé?
Oppure, come puoi escludere l'utilità della discriminazione o del neti neti, visto che neghi qualsiasi pratica?

PS ti ricordo che i sutra, oltre che vanno interpretati, non nascono in lingua inglese

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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da latriplice » 10/04/2017, 16:20

Fedro ha scritto:
10/04/2017, 15:00
Abbiamo già discusso sul pensare di essere (che non è essere). Non sarà certo leggere alla lettera quel sutra che cambierà le sorti dell'indagine jana, non credi?
Altrimenti che parli a fare di sovrapposizioni mentali (ovvero sempre pensieri) che ostacolano la conoscenza di sé?
Oppure, come puoi escludere l'utilità della discriminazione o del neti neti, visto che neghi qualsiasi pratica?

PS ti ricordo che i sutra, oltre che vanno interpretati, non nascono in lingua inglese
L'intero Vedanta può essere ridotto ad una semplice equazione trovata nelle upanishad:

Tat tvam asi

Che letteralmente significa "Tu sei Quello".
Quello é il Sé ed il tu é il Sé nella forma dello sperimentatore, ed il verbo sei indica l'identità tra i due.

Pertanto c'è poco da interpretare.

La traduzione dal sanscrito non è "Tu diventerai Quello" secondo la tua interpretazione, ma che tu sei quello indipendentemente dalla pratica.

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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da Fedro » 10/04/2017, 16:28

latriplice ha scritto:
10/04/2017, 16:20


L'intero Vedanta può essere ridotto ad una semplice equazione trovata nelle upanishad:

Tat tvam asi

Che letteralmente significa "Tu sei Quello".
Quello é il Sé ed il tu é il Sé nella forma dello sperimentatore, ed il verbo sei indica l'identità tra i due.

Pertanto c'è poco da interpretare.
Qualcuno ha escluso che sei Quello?
Mi spieghi l'attinenza di ciò coi tuoi pensieri circa il "Quello che sei"?

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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da latriplice » 10/04/2017, 16:57

Lo yoga dice che se tu fai l'esperienza del nivirkalpa samadhi, solo allora realizzi il Sé.
Il Vedanta dice che tu sei il Sé, non importa quale esperienza stai avendo.

Appoggiarsi all'esperienza per l'auto-validazione equivale alla coda che scodinzola il cane. Senza di me, consapevolezza, l'esperienza non sarebbe possibile. Pertanto il Vedanta rimette le cose a posto ed il cane a scodinzolare la coda, proprio come le cose stanno.

Comunque sei libero di sovvertire l'ordine naturale delle cose, che la consapevolezza dipenda dall'esperienza.

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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da Fedro » 10/04/2017, 17:11

latriplice ha scritto:
10/04/2017, 16:57
Lo yoga dice che se tu fai l'esperienza del nivirkalpa samadhi, solo allora realizzi il Sé.
Il Vedanta dice che tu sei il Sé, non importa quale esperienza stai avendo.

Appoggiarsi all'esperienza per l'auto-validazione equivale alla coda che scodinzola il cane. Senza di me, consapevolezza, l'esperienza non sarebbe possibile. Pertanto il Vedanta rimette le cose a posto ed il cane a scodinzolare la coda, proprio come le cose stanno.

Comunque sei libero di sovvertire l'ordine naturale delle cose, che la consapevolezza dipenda dall'esperienza.
Ma che tu lo realizzi o meno, sei sempre il Sé, chi lo esclude?
Che tu voglia invece invalidare l'importanza di realizzarlo...è ben altro.
La testimonianza di Ramana a proposito, la conosci?
Credi che sia non indispensabile per il Vedanta?

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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da latriplice » 10/04/2017, 17:40

Certo che conosco l'esperienza di pre-morte di Ramana. Egli applicò l'auto-indagine, viveka, e realizzò di essere il Sé da adolescente. Quello che fece in seguito attraverso la pratica era di conformare la mente a questa realizzazione rendendola integralmente pura ed in grado di riflettere perfettamente la luce del Sé. Da qui la sua espressione beata e pacifica. Questo perché la mente, nonostante questa presa di coscienza, conserva impurità non in armonia con la conoscenza del Sé. Pertanto non è necessario che tu giunga alla condizione di essere una zucca vuota per realizzare il Sé, proprio come Arjuna trovandosi sul campo di battaglia di kurusetra, non aveva il tempo di praticare per essere "Quello".

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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da Fedro » 10/04/2017, 18:02

latriplice ha scritto:
10/04/2017, 17:40
Certo che conosco l'esperienza di pre-morte di Ramana. Egli applicò l'auto-indagine, viveka, e realizzò di essere il Sé da adolescente. Quello che fece in seguito attraverso la pratica era di conformare la mente a questa realizzazione rendendola integralmente pura ed in grado di riflettere perfettamente la luce del Sé. Da qui la sua espressione beata e pacifica. Questo perché la mente, nonostante questa presa di coscienza, conserva impurità non in armonia con la conoscenza del Sé. Pertanto non è necessario che tu giunga alla condizione di essere una zucca vuota per realizzare il Sé, proprio come Arjuna trovandosi sul campo di battaglia di kurusetra, non aveva il tempo di praticare per essere "Quello".
Chi avrebbe detto della necessità della zucca vuota?
Ho contestato invece: che non necessità di pratica, non c'è realizzazione, e che basta pensarlo per essere.

cielo
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da cielo » 10/04/2017, 18:21

latriplice ha scritto:
10/04/2017, 16:57
Lo yoga dice che se tu fai l'esperienza del nivirkalpa samadhi, solo allora realizzi il Sé.
Il Vedanta dice che tu sei il Sé, non importa quale esperienza stai avendo.

Appoggiarsi all'esperienza per l'auto-validazione equivale alla coda che scodinzola il cane. Senza di me, consapevolezza, l'esperienza non sarebbe possibile. Pertanto il Vedanta rimette le cose a posto ed il cane a scodinzolare la coda, proprio come le cose stanno.

Comunque sei libero di sovvertire l'ordine naturale delle cose, che la consapevolezza dipenda dall'esperienza.

Questa tua visione della differenza tra yoga e vedanta la trovo molto personalizzata, molto "tua". Come se nel vedanta non venisse marcata la differenza dell'esperienza del samadhi savikalpa (con differenziazione) o nirvikalpa (senza proiezione, differenziazione)
Di conseguenza non definirei altre visioni - interpretazioni quali "sovvertenti l'ordine naturale delle cose" che secondo te, pare di capire (ma magari mi sbaglio), implica che la consapevolezza preceda l'esperienza e non viceversa, dunque chiunque si adoperi per fare sadhana (pratica, esperienza) secondo determinati dettami filosofico-pratici si sta allontanando dalla potenziale "realizzazione del Sè", il goal dei goal.
In teoria probabilmente sì, la "consapevolezza di Quello" esiste a prescindere dall'esperienza del jiva incarnato, visto che il Sè è sempre, immoto, immutabile, impensabile, incommnesurabile (...), puro essere a prescindere dall'esperienza che il singolo, povero, errante, jiva incarnato, ne faccia, differenziandosi dalla Sorgente da cui è sorto quale raggio della medesima Luce.
Povero jiva che anela a rimmergersi nelle acque dalle quali non è mai emerso, ma fin che non lo capisce e lo "vive" in pienezza e identità, il povero jiva brancola e si racconta tante belle favolette consolanti, tra cui: Tat tvam asi o Brahma asmi.
Quando si interpreta troppo la sruti è evidente che si usa la mente, di conseguenza ci si espone inevitabilmente anche alla mente altrui che coglie differenza con la propria, di visione.

Mauro
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da Mauro » 10/04/2017, 19:17

Una premessa: chiedo scusa a latriplice per il mio sarcasmo stupido ed infantile e chiedo a seva la cortesia di cancellare il mio post su "diario di viaggio".
Grazie.

Detto questo, quello che mi fa inc....are è l'assoluta assenza di una testimonianza personale.
Ci si alambicca tra frasi tipo "tu sei già il sè e non devi realizzare nulla" e "se io penso di essere il sè non ho realizzato un bel niente", etc etc.

Ma diamine. Qual'è il discrimine tra lo stato naturale e lo stato condizionato?
La sofferenza.

L'abbiamo eliminata?

La risposta a questa domanda è più importante di ogni definizione del "sè".
IMHO, ovviamente.

cielo
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da cielo » 10/04/2017, 21:10

Mauro ha scritto:
10/04/2017, 19:17

Detto questo, quello che mi fa inc....are è l'assoluta assenza di una testimonianza personale.
Ci si alambicca tra frasi tipo "tu sei già il sè e non devi realizzare nulla" e "se io penso di essere il sè non ho realizzato un bel niente", etc etc.

Ma diamine. Qual'è il discrimine tra lo stato naturale e lo stato condizionato?
La sofferenza.

L'abbiamo eliminata?

La risposta a questa domanda è più importante di ogni definizione del "sè".
IMHO, ovviamente.
Concordo, la sofferenza è il discrimine e denota sia quanto siamo orientati a cercare la felicità nel relativo, conoscendo "oggetti" a soddisfare il soggetto agente, sia come usiamo la mente speculativa a fini lenitivi nella speranza che la mente, liberata (apparentemente) dall'idea di separazione tramite le "grandi sentenze" che illuminano il cammino, possa comprendere l'Inconoscibile e possedere il Sè, come idea suprema.
Ramana invitava a concentrare l'attenzione, che continuamente devia immergendosi nel flusso del divenire relativo per "divorarlo" (conoscerlo), sul senso di puro essere che sperimentiamo continuamente, anche nel sonno profondo, quando al risveglio "sappiamo di esserci stati", in beata incoscienza.
Il sonno come la morte è un grande mistero. Affascinante.

Quello sforzo di focalizzare sul puro essere che siamo, ci può orientare, pur se in costante patimento (chi più chi meno) in quanto incarnati nel transitorio. Destinati a perire come "nama - rupa", come "io coordinatore di un sistema chiuso". C'è da turbarsi, conservando con orgoglio il senso dell'"io sono"" (questo e quello).
E siamo pure abbastanza spaventati quando pensiamo al "rilascio degli involucri" a cui ci siamo ben affezionati.

Lo sforzo è di trascendere il formale lasciandoci attrarre dalla pura presenza dell'Essere, che attualmente sperimentiamo (simbolicamente parlando) dall'interno del vaso e con tanta sofferenza per le crepe che vediamo formarsi all'interno dell'argilla. Ahimè!
Come dicono gli indiani: "siamo seduti sul tesoro e lo stiamo a cercare ovunque, quando ce l'abbiamo sotto il deretano".
O anche: "che meraviglia visualizzare quella piuma che lenta lenta ondeggia nell'aria e prima o poi sfiorerà anche la punta del nostro naso, viene verso di noi, ma poi un alito di vento la sposta altrove...poi torna."
Mi limito a seguirla con lo sguardo e la palpitazione per l'incontro, prima o poi mi sfiorerà.
Il miracolo della Grazia.

latriplice
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da latriplice » 10/04/2017, 23:41

cielo ha scritto:
10/04/2017, 18:21
latriplice ha scritto:
10/04/2017, 16:57
Lo yoga dice che se tu fai l'esperienza del nivirkalpa samadhi, solo allora realizzi il Sé.
Il Vedanta dice che tu sei il Sé, non importa quale esperienza stai avendo.

Appoggiarsi all'esperienza per l'auto-validazione equivale alla coda che scodinzola il cane. Senza di me, consapevolezza, l'esperienza non sarebbe possibile. Pertanto il Vedanta rimette le cose a posto ed il cane a scodinzolare la coda, proprio come le cose stanno.

Comunque sei libero di sovvertire l'ordine naturale delle cose, che la consapevolezza dipenda dall'esperienza.

Questa tua visione della differenza tra yoga e vedanta la trovo molto personalizzata, molto "tua". Come se nel vedanta non venisse marcata la differenza dell'esperienza del samadhi savikalpa (con differenziazione) o nirvikalpa (senza proiezione, differenziazione)
Di conseguenza non definirei altre visioni - interpretazioni quali "sovvertenti l'ordine naturale delle cose" che secondo te, pare di capire (ma magari mi sbaglio), implica che la consapevolezza preceda l'esperienza e non viceversa, dunque chiunque si adoperi per fare sadhana (pratica, esperienza) secondo determinati dettami filosofico-pratici si sta allontanando dalla potenziale "realizzazione del Sè", il goal dei goal.
In teoria probabilmente sì, la "consapevolezza di Quello" esiste a prescindere dall'esperienza del jiva incarnato, visto che il Sè è sempre, immoto, immutabile, impensabile, incommnesurabile (...), puro essere a prescindere dall'esperienza che il singolo, povero, errante, jiva incarnato, ne faccia, differenziandosi dalla Sorgente da cui è sorto quale raggio della medesima Luce.
Povero jiva che anela a rimmergersi nelle acque dalle quali non è mai emerso, ma fin che non lo capisce e lo "vive" in pienezza e identità, il povero jiva brancola e si racconta tante belle favolette consolanti, tra cui: Tat tvam asi o Brahma asmi.
Quando si interpreta troppo la sruti è evidente che si usa la mente, di conseguenza ci si espone inevitabilmente anche alla mente altrui che coglie differenza con la propria, di visione.
Chiunque si adoperi per fare la sadhana in genere non è interessato nel negare il meditante, egli è interessato nell'ottenere una particolare esperienza per il meditante. Pertanto il meditante rimane intatto, infatti il meditante o l’agente viene rinforzato dalla meditazione.
Cielo ha scritto:
Lo sforzo è di trascendere il formale lasciandoci attrarre dalla pura presenza dell'Essere
Esattamente, lo yoga è un sentiero dualistico per agenti che vogliono connettersi o contattare il Sé, basata sull'idea che la realtà è duale e che ci sono due sé, uno reale o vero, e l'altro limitato, cioè una persona. Essa dice che i due sono differenti, ma entrambi reali. Inoltre lo yoga dice che la persona limitata può sperimentare la libertà senza limiti se solo può "contattare" o "unificarsi" con il vero o supremo Sé, e ciò comporta molte pratiche designate nel mettere in condizione il sé limitato "in contatto" o "unione" con il reale o vero Sé, cioè consapevolezza illimitata.

Rispetto allo yoga che è un sistema di pratiche orientate all'esperienza che congiunge il sé limitato con il Sé illimitato, il Vedanta è lo yoga del non-contatto (asparsa), che significa che è solo conoscenza. Pertanto il Vedanta è la conoscenza che c'è soltanto un solo Sé, ed è il mezzo (insegnamento) che consegna questa conoscenza, quando brandita da un insegnante qualificato, ad un cercatore qualificato.

Tuttavia il Vedanta appoggia lo yoga come un mezzo per preparare la mente per l'auto-conoscenza. Essa afferma che in molti casi, l'individuo non può ottenere la conoscenza della non-dualità e gioire del frutto della conoscenza fino a che le vasane (citta vrittis) sono vincolanti all'azione. Pertanto il Vedanta sostiene lo yoga come un mezzo di purificazione della mente (anta karana shuddi) e di preparazione della mente, dal momento che una mente pura e preparata è necessaria per l'assimilazione dell'auto-conoscenza "Io sono l'illimitata ordinaria imperturbabile consapevolezza non-nata non-duale e non-agente". La ragione per la quale il Vedanta non è un sentiero dello yoga è che il Vedanta nega l'agente. Essa dimostra che l'agente è un sé apparente e non reale. Essa stabilisce che la vera identità del sé limitato è la consapevolezza illimitata e non-agente e non l'artefice delle azioni.

La conoscenza che i vari samadhi indicano è che il samadhi è soltanto un altro oggetto che appare in te, che permette al riflesso del Sé di apparire in una mente immobile. Tuttavia, osservare che alcuna esperienza può avere luogo senza di te, consapevolezza, è l'essenza dell'auto-indagine, la quale non è una esperienza, è l’applicazione della conoscenza discriminante. Pertanto l’auto-indagine è molto differente dalla meditazione. Il suo successo dipende dalle qualificazioni presenti nella mente. L’auto-indagine ti rivela che la consapevolezza è la tua vera natura e che tutte le esperienza (oggetti) sorgono da te e appaiono in te, ma tu sei libero dagli oggetti. Gli oggetti sono te, ma tu non sei gli oggetti. Tenendo questa conoscenza in mente e costantemente contemplandola è auto-indagine.

Ashtavakra disse:

1. Tu sei libero dal contatto con qualsiasi cosa. Pertanto, puro come sei, a che cosa vuoi rinunciare? Distruggi il complesso corporeo ed in questo modo entra nello stato di dissoluzione.


Questo verso riassume l'essenza del Vedanta: stabilisce che moksa è viveka, che significa discriminazione basata sull'auto-conoscenza.

Essa insegna che soltanto l’auto-conoscenza, non l’esperienza, è capace di rimuovere l’ignoranza. Molti occidentali coinvolti nello yoga hanno l’idea che la rimozione di tutti i pensieri e le vasane (vritti/vasana kyshaya) costituisce la liberazione (moksha). Se vedi moksha come yoga (citta vritti nirodha) non è moksha, perché il Sé è libero e può essere conosciuto come il proprio sé indipendentemente dalla presenza o meno delle citta vritti. Lo yoga è efficace nel rimuovere le vritti e possiamo considerare lo yoga come un “errore che conduce”, in quanto uno yoghi lavorando sulle proprie vasane e raggiungendo vari samadhi potrebbe dopo un certo tempo convertire il desiderio di sperimentare il samadhi nell’auto-indagine che conduce a viveka, discriminazione.

Ma è l’eccezione piuttosto che la regola perché gli yoghi tendono a praticare lo yoga con la convinzione che moksha è samadhi e non viveka. Si è più orientati all’esperienza che alla conoscenza derivante dalla discriminazione.

Molti cercatori vogliono alleviare la loro sofferenza con un qualche tipo di esperienza beatifica e sono attratti dallo yoga per questa ragione. Se occasionalmente ci riescono, di solito continuano ad aumentare i loro sforzi per ottenere samadhi sempre più sottili e finiscono frustrati perché nessun jiva può controllare l’esperienza. Questo è il lavoro di Ishvara. E gli yoghi tendono ad avere dei grandi ego perché possono più o meno raggiungere elevati stati mentali con la forza della volontà credendo che sono i responsabili. L’agente è vivo e scalpitante.

Quando possiedi l’auto-conoscenza non c’è più bisogno di meditazione, esperienze spirituali o stati elevati d’essere, perché come il Sé tu sei oltre ogni stato mentale, tu sei la meditazione. Non hai bisogno di rincorrere l’esperienza della consapevolezza perché sai che stai soltanto sperimentando da sempre la consapevolezza, non importa cosa succede o non succede nella mente.

Pertanto la liberazione si attua nel discriminare il Sé dal non-sé, e per non-sé si intende tutto ciò di cui fai esperienza, i vari samadhi, incluso lo sperimentatore.

Porsi la classica domanda "Chi sono io?" e aspettarsi che giunga chissà in quale modo la risposta è yoga. Il Vedanta te lo dice subito chi sei in tutte le salse : "Tu sei Quello". Ma ovviamente non è l'ego che deve realizzarlo come comunemente si intende. L'ego è un non-sé.

Mauro
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da Mauro » 11/04/2017, 17:13

Una domanda a latriplice.
Tu sei felice?

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