
"... su più elevati livelli di consapevolezza...."
Non sapevo che la consapevolezza fosse a livelli.

Ho già scritto a seva chiedendo di modificare la frase "continui a non capire" con "evidentemente non riesco a farmi capire" (che è poi il senso che intendevo con tale frase).
Certo che si."... su più elevati livelli di consapevolezza...."
Non sapevo che la consapevolezza fosse a livelli.
Pienamente d'accordo. Ma, sempre leggendo l'altro argomento, mi trovo d'accordo anche su quel che qualcuno ha scritto (forse proprio Kara, ora non saprei ritrovare il post preciso): tutti ci dicono di impegnarci a togliere la freccia dell'ignoranza, unica causa del dolore, e senza perdere tempo a chiederci da dove sia venuta, perché ci ha colpito, ecc.
Perché, sfrondato dalle tante chiacchiere, l'essenza di quel discorso interessa anche a me. E soprattutto sembra venire alla luce spesso l'essenza di quel che veniva detto lì, visto che anche qui è di nuovo venuto a presentarsi il problema della dissoluzione più o meno formale delle "cause prime" di maya. Mi sembra quindi che dovrebbe interessare anche tutti, visto che va a toccare il cuore del "perché" (e poi, di conseguenza, anche del "come") ci interessiamo alla spiritualità.
Non so se Kara stesse guardando l''argomento da una prospettiva duale o non duale, non sono sicuro di poter capire ciò leggendolo, però mi viene da chiedere se ci sia davvero differenza, alla fin fine. Voglio dire: se il problema che era stato posto si trova nel "due", ma poi "l'uno" o lo "zero" portano inevitabilmente (o comunque non c'è niente che lo impedisca, il che è praticamente lo stesso) sempre e comunque al "due", siamo sicuri che i problemi siano risolvibili semplicemente riportandoci all'uno e allo zero in modo "totalitario"? In fondo, proprio perché nell'uno o nello zero non ci sono problemi, non ci sarà niente (e nessuno, neanche un senso del "me") che ci informerà che il due è un problema. E visto che il due può sorgere (di questo ne siamo attualmente più che certi), sorgerà, non importa se certe sue modalità erano state messe a tacere precedentemente. Mi sono andato a leggere l'Advaita Bodha Dipika, più volte citata nelle pagine di "è solo un'occhiata". Ce l'avevo da anni, trovato "per caso" su di una bancarella in una fiera sull'India. Effettivamente anche lì si dice che, prima o poi, tutti i Jiva, anche quelli che avevano seguito la via dell'estinzione formale, trovano, dopo la Realizzazione della loro vera natura non duale, un "accomodamento" formale su di uno dei piani di esistenza formali. La forma, formalmente, resta (perdona l'imbroglio di parole), anche se ormai è riconosciuta solo come riflesso di una realtà non duale. Come si vede anche qua sotto, sembra essere quello che dicevi anche tu:latriplice ha scritto: ↑09/04/2017, 15:48Il protrarsi dell'argomentazione era dovuta alla tenacia ostinatezza perseverante di Kaara di indulgere nell'osservare da una prospettiva dualistica una questione che ha la sua ragione d'essere appunto da tale prospettiva, diversamente risolvibile se avesse preso in considerazione gli assunti del Vedanta che stabilisce la natura non-duale della realtà, che ho puntualmente già dalla prima pagina, fatto presente:
Appunto, è ciò che dici anche tu. Quindi dove stava la ragione di considerare sbagliato quello che diceva Kara, visto che dicevate la stessa cosa? A me sembra che Kara cercasse di aggiungere semplicemente un suggerimento utile, o, se non utile, per lo meno veritiero nell'atto pratico, ovvero: guardate che sarà la forma (in questo caso, il jiva) a lasciare la testimonianza che "maya è pur sempre l'Assoluto, e quindi non esiste molteplicità, perché solo l'Assoluto esiste". Senza tale testimonianza formale, non cambia niente in assoluto: l'Assoluto rimane l'Assoluto, e la maya rimane pur sempre anch'essa l'Assoluto. Quel che cambia è che, senza tale testimonianza formale, ci sarà quel "piccolissimo problema" che abbiamo ora: siamo l'Assoluto ma crediamo di essere molteplici e quindi soffriamo.In conformità a "Si diventa ciò che si pensa", in Malkuth abbiamo l'Ain soph che intrattiene il punto di vista di un corpo governato dagli istinti, e la visione che si palesa sarà conforme a quel punto di vista e così via.
In altre parole vediamo la realtà per ciò che è attraverso i filtri della mente ed il risultato è una apparenza.
Tu in quanto Brahman stai osservando te stesso in quanto Brahman, ma non lo sai e vedi qualcos'altro. Maya appunto.
Questo è il succo dell'intera faccenda.
"...e che forse si può capire senza tante parole comprendendo che quel "dissolversi" della bambolina non è una sparizione formale, ma solo un riconoscimento (che il sale della forma di bambola è lo stesso del sale del mare infinito), o, se vogliamo, una disidentificazione (del sale dalla semplice forma di bambolina)..."
Ho forse detto qualcosa di diverso?
Il principio fondamentale del Vedanta è che la realtà è non-duale: c’è soltanto il Sé e nient’altro. Pertanto come è possibile che possa apparire una molteplicità di cose come il corpo sottile, il corpo grossolano, e così via inclusa la bambolina di sale? A causa dell’ignoranza. In altre parole, tramite l’incomprensione vedi innumerevoli oggetti differenti dove in verità c’è solo la coscienza non-duale ed informe, cioé quando ignori il Sé, prendi le apparenze dei vari oggetti come il corpo e la mente per reali sovrapponendoli al Sé e quindi identificandoti con tali sovrapposizioni. Il problema è che da questa prospettiva falsata la questione della maya-apparenza che è la conseguenza dell'ignoranza non può essere risolta finché persiste tale sovrapposizione. Pertanto l’ignoranza “causa” gli oggetti dal momento che fa apparire il Sé non-duale ad essere qualcosa diverso da ciò che realmente è. Nella fattispecie l’ignoranza è sinonimo del corpo causale ed il corpo causale è la causa della mente e del corpo. Dal momento che il corpo causale è la causa di tutto, esso stesso non ha una causa. Pertanto in questo senso è senza inizio, o più precisamente, incausato.
Anche io comincio a credere che l'ignoranza e la conoscenza ce li dobbiamo tenere, il punto è "solo" che dobbiamo tenercele con modalità (formali, già) diverse da come le abbiamo adesso. A noi in quanto Assoluto non cambia niente, ma formalmente cambia eccome. In fondo qualunque spiritualità non può mai riferirsi all'Assoluto, ma qui sotto dici...Pertanto l'ignoranza, in virtù dell'illimitatezza del Brahman, è una sua modalità vitale espressiva e condivide al pari del Brahman, l'eternità. Nel dire che l’ignoranza ha un inizio significa che aveva una non-esistenza precedente. Come può qualcosa che non esiste, come le corna di una lepre, venire mai in esistenza? Non è possibile, pertanto l’ignoranza deve sempre essere esistita. Inoltre, se l’ignoranza aveva una non-esistenza anteriore, che cosa doveva esserci al suo posto? Conoscenza. E se la conoscenza era già presente, l’ignoranza non poteva giungere in esistenza. Così per tutti questi motivi, l’ignoranza deve essere senza inizio e ce la dobbiamo tenere a meno che tu non prenda in considerazione la seguente ipotesi suggerito dal video. Anzi constatazioni evidenti se solo ti concedessi il lusso dell'auto-indagine:
All'Assoluto nessun testo o maestro o esperienza, potranno mai rivolgersi. Queste parole, di questo testo citato, possono solo riferirsi alla nostra forma (in particolare, a quella complessivamente chiamata jiva). Essa è pur sempre l'unico ed indiviso Assoluto, ma è solo formalmente che essa può comprender ciò, e che può comprendere quindi anche la lezione che qui è impartita: comprendere che gli oggetti dipendono da me per la loro esistenza. La conseguente dissoluzione di cui si parla, quindi, o è intesa come "dissoluzione della presunta differenza tra Assoluto ed oggetti" (Jiva compreso tra questi ultimi), oppure, se presa letteralmente come "dissoluzione formale", significherà la sparizione formale anche della lezione qui acquisita. E l'eterna ignoranza e conoscenza potranno tornare a fare l'esatto gioco doloroso che fanno adesso, invece che farlo in modo molto più innocente e consapevole (cioè con la nostra forma ben conscia della sua natura di Assoluto non duale), come ci auspichiamo di riuscire a fare con la spiritualità.
QUATTRO MODI PER LA DISSOLUZIONE[/b][/center]
Ashtavakra disse:
1. Tu sei libero dal contatto con qualsiasi cosa. Pertanto, puro come sei, a che cosa vuoi rinunciare? Distruggi il complesso corporeo ed in questo modo entra nello stato di dissoluzione.
2. L'universo sorge da te come le onde sorgono dal mare. Così conosci il Sé nell'essere Uno ed in questo modo entra nello stato di dissoluzione.
3. L'universo, poiché è irreale, essendo manifestato come il serpente nella corda, non esiste in te che sei puro, sebbene sia presente ai sensi. Pertanto in questo modo entra nello stato di dissoluzione.
4. Tu sei perfetto e lo stesso in miseria e felicità, speranza e disperazione, e vita e morte. Pertanto in questo modo entra nello stato di dissoluzione.
Astavakra Gita
Il primo verso è una constatazione, il distacco. Il distacco non è da realizzare o da praticare, ma riconoscere che è già presente. Il corpo e la mente e le relative esperienze sono oggetti che appaiono e scompaiono e per questo non sono in alcun modo legate a te, infinita consapevolezza eternamente presente.
A cui segue la seconda constatazione, l'unità. Il distacco non significa separazione poiché gli oggetti appaiono e scompaiono all'interno della tua sfera coscienziale, sancendo così l'unità di entrambi e l’amore universale che ne consegue.
A cui si giunge alla terza constatazione, la dissoluzione. Dal momento che tu non dipendi dagli oggetti per la tua esistenza mentre gli oggetti dipendono da te per la loro esistenza, essi non possono essere altro che te stesso portando così in dissoluzione l'universo che li contiene.
Il quarto verso è una conseguenza dell’aver constatato l’evidenza espressa nei versi precedenti.
"... Lo hai presentato però dicendo che esso si rivolge direttamente a me: a me chi? A me in quanto assoluto?..."
Esattamente, si rivolge a te in quanto assoluto, non alla sovrapposizione di cui si parlava in precedenza che impedirebbe il dissolvimento della tua ignoranza:
"...Il problema è che da questa prospettiva falsata la questione della maya-apparenza che è la conseguenza dell'ignoranza non può essere risolta finché persiste tale sovrapposizione..."
Cioè dalla prospettiva dell'individuo.
A-U-M ha scritto:
All'Assoluto nessun testo o maestro o esperienza, potranno mai rivolgersi. Queste parole, di questo testo citato, possono solo riferirsi alla nostra forma (in particolare, a quella complessivamente chiamata jiva). Essa è pur sempre l'unico ed indiviso Assoluto, ma è solo formalmente che essa può comprender ciò, e che può comprendere quindi anche la lezione che qui è impartita: comprendere che gli oggetti dipendono da me per la loro esistenza. La conseguente dissoluzione di cui si parla, quindi, o è intesa come "dissoluzione della presunta differenza tra Assoluto ed oggetti" (Jiva compreso tra questi ultimi), oppure, se presa letteralmente come "dissoluzione formale", significherà la sparizione formale anche della lezione qui acquisita. E l'eterna ignoranza e conoscenza potranno tornare a fare l'esatto gioco doloroso che fanno adesso, invece che farlo in modo molto più innocente e consapevole (cioè con la nostra forma ben conscia della sua natura di Assoluto non duale), come ci auspichiamo di riuscire a fare con la spiritualità.
In pratica, dicevate la stessa cosa, ma non è male porre l'accento sul fatto che è la forma ad essere inconsapevole della propria natura di assolutezza non duale e che poi "impara" l'illusorietà della molteplicità. Se tale forma dovesse invece dissolversi nel senso grossolano del termine, tale lezione andrebbe perduta. Tutto questo, tra l'altro, ci aiuta anche a ricordarci che l'Assoluto non è un qualcosa, un qualcosa che deve svegliarsi, che può imparare, che può ricordare. Esso è invece la sostanza, sia della sostanza-prakriti che dell'essenza-purusha. Le "lezioni" e i "risvegli" servono solo alle combinazioni di questi due elementi formali, ma non possono rivolgersi alla loro sostanza assoluta.
la speranza è ultima a morireAltro non c'è da aggiungere
Beh mi sembra che più che sfrondare il discorso, vi siano state aggiunte molte fronde anche qui.Perché, sfrondato dalle tante chiacchiere, l'essenza di quel discorso interessa anche a me
Purtroppo io sono anni luce lontano da una comprensione non duale, perlomeno se per "comprensione" intendiamo qualcosa di stabile e davvero profondo. Ora come ora, da quando leggo questo forum, mi sono impantanato (e probabilmente è un bene così, persino il fango può fare bene, per un po') nell'idea che tutto, anche la comprensione spirituale, è svolta da ciò che non-duale non è, e questo mi sta portando a vedere sempre più la dualità come un qualcosa di utile, e forse persino come non totalmente eliminabile.latriplice ha scritto: ↑15/04/2017, 20:26A-U-M ha scritto:
All'Assoluto nessun testo o maestro o esperienza, potranno mai rivolgersi. Queste parole, di questo testo citato, possono solo riferirsi alla nostra forma (in particolare, a quella complessivamente chiamata jiva). Essa è pur sempre l'unico ed indiviso Assoluto, ma è solo formalmente che essa può comprender ciò, e che può comprendere quindi anche la lezione che qui è impartita: comprendere che gli oggetti dipendono da me per la loro esistenza. La conseguente dissoluzione di cui si parla, quindi, o è intesa come "dissoluzione della presunta differenza tra Assoluto ed oggetti" (Jiva compreso tra questi ultimi), oppure, se presa letteralmente come "dissoluzione formale", significherà la sparizione formale anche della lezione qui acquisita. E l'eterna ignoranza e conoscenza potranno tornare a fare l'esatto gioco doloroso che fanno adesso, invece che farlo in modo molto più innocente e consapevole (cioè con la nostra forma ben conscia della sua natura di Assoluto non duale), come ci auspichiamo di riuscire a fare con la spiritualità.
In pratica, dicevate la stessa cosa, ma non è male porre l'accento sul fatto che è la forma ad essere inconsapevole della propria natura di assolutezza non duale e che poi "impara" l'illusorietà della molteplicità. Se tale forma dovesse invece dissolversi nel senso grossolano del termine, tale lezione andrebbe perduta. Tutto questo, tra l'altro, ci aiuta anche a ricordarci che l'Assoluto non è un qualcosa, un qualcosa che deve svegliarsi, che può imparare, che può ricordare. Esso è invece la sostanza, sia della sostanza-prakriti che dell'essenza-purusha. Le "lezioni" e i "risvegli" servono solo alle combinazioni di questi due elementi formali, ma non possono rivolgersi alla loro sostanza assoluta.
18. Colui che vede il non-agire (akarma) nell'agire (karma) e l'agire nel non-agire, quegli è il più savio fra gli uomini, è uno che ha realizzato lo yoga, che tutto ha compiuto.
Bhagavadgita, quarto capitolo.
Il senso che questo verso racchiude espresso in termini umani, è l'attualità della realtà non-duale presente in ogni circostanza, ivi compresa questa apparente interazione condivisa sotto forma di dialogo tra due apparenti entità. L'ignoranza al pari della conoscenza sono modalità espressive dell'Assoluto ed in quanto tali da essa dipendono, pertanto non recano in sé valore di assolutezza. Se riesci ad intravedere l'inconsistenza dell'aspetto formale ed interattiva che la mente ti presenta in riferimento alla nostra presunta interazione, allora hai colto quello che viene espresso in termini umani come il senso della realtà non duale indicato da questo verso.
In ultima analisi concernente la faccenda spirituale, due sono le possibilità: o lo comprendi, o non lo comprendi.
Altro non c'è da aggiungere.
Già, devo aver esagerato, ma per lo meno sono riuscito ad arrivare ad un punto fermo, in sé molto semplice e sintetico: come ho appena detto a latriplice, per il momento vedo la dualità come un qualcosa di importante, forse ineliminabile. Il che non toglie che ci si debba impegnare a vederla sempre più come apparente e relativa.Mauro ha scritto: ↑15/04/2017, 20:52Beh mi sembra che più che sfrondare il discorso, vi siano state aggiunte molte fronde anche qui.Perché, sfrondato dalle tante chiacchiere, l'essenza di quel discorso interessa anche a me
A proposito di cose serie: tu che ti occupi di giardinaggio. Ho un giovane melo nel cui tronco una sorta di larva ha scavato una galleria. Che rimedio posso usare?
All'Assoluto nessun testo o maestro o esperienza, potranno mai rivolgersi avevi scritto nel post precedente. Ed è vero, perché l'assoluto inteso come il Sé-consapevolezza non è un oggetto sperimentabile. Nel caso diventasse un oggetto ci dovrebbe essere un'altra consapevolezza per esperirlo, ma è una questione di buon senso che c'è soltanto una consapevolezza, te stesso. Difatti i versi dell'Ashtavakra gita postati in precedenza nelle sue tre constatazioni sperimentabili di distacco, unità, e dissoluzione (equiparabili alle tre fasi dell'opera alchemica della nigredo, albedo e rubedo), intendevano renderti partecipe di questa attualità che c'è soltanto una consapevolezza non-agente nonostante le apparenze indicano il contrario come si evince da questo verso della Bhagavad Gita:A-U-M ha scritto:
Purtroppo io sono anni luce lontano da una comprensione non duale, perlomeno se per "comprensione" intendiamo qualcosa di stabile e davvero profondo. Ora come ora, da quando leggo questo forum, mi sono impantanato (e probabilmente è un bene così, persino il fango può fare bene, per un po') nell'idea che tutto, anche la comprensione spirituale, è svolta da ciò che non-duale non è, e questo mi sta portando a vedere sempre più la dualità come un qualcosa di utile, e forse persino come non totalmente eliminabile.
Non dubito che la dualità sia solo un credere. Ma non riesco a vedere come si possa smettere di credere. Essendo una potenzialità insita nel Brahman, essa si presenterà spontaneamente (lo ha appunto già fatto, presentando la credenza nella dualità, eccoci qui infatti). Quello che possiamo fare non è più che altro un semplice cambiamento di credo? Dal credo della dualità al credo sulla non-dualità. Lo so che i testi dicono che alla fine dobbiamo dissolvere anche il concetto della non-dualità, ma, ripeto (e, più lo leggo, più mi ispiro al già citato dialogo "è solo un'occhiata"), a quel punto cosa impedirà ad un nuovo credo di apparire di nuovo? Magari di nuovo proprio quello della dualità. Il Brahman, in sè, non ha avuto problemi a farlo apparire una volta e a sperimentarlo, quindi non vedo perché non dovrebbe "divertirsi" a farlo di nuovo, se ogni conoscenza è stata spazzata via dalle forme jivaiche precedenti. Ho visto che questo dubbio di Kara non era piaciuto molto nell'argomento che ho citato, anche se non capisco bene perché, ma anche a me rimane, e tutti i testi che suggeriscono di "dissolvere" in favore della non dualità, non riescono a farmelo dimenticare.latriplice ha scritto: ↑19/04/2017, 13:16All'Assoluto nessun testo o maestro o esperienza, potranno mai rivolgersi avevi scritto nel post precedente. Ed è vero, perché l'assoluto inteso come il Sé-consapevolezza non è un oggetto sperimentabile. Nel caso diventasse un oggetto ci dovrebbe essere un'altra consapevolezza per esperirlo, ma è una questione di buon senso che c'è soltanto una consapevolezza, te stesso. Difatti i versi dell'Ashtavakra gita postati in precedenza nelle sue tre constatazioni sperimentabili di distacco, unità, e dissoluzione (equiparabili alle tre fasi dell'opera alchemica della nigredo, albedo e rubedo), intendevano renderti partecipe di questa attualità che c'è soltanto una consapevolezza non-agente nonostante le apparenze indicano il contrario come si evince da questo verso della Bhagavad Gita:A-U-M ha scritto:
Purtroppo io sono anni luce lontano da una comprensione non duale, perlomeno se per "comprensione" intendiamo qualcosa di stabile e davvero profondo. Ora come ora, da quando leggo questo forum, mi sono impantanato (e probabilmente è un bene così, persino il fango può fare bene, per un po') nell'idea che tutto, anche la comprensione spirituale, è svolta da ciò che non-duale non è, e questo mi sta portando a vedere sempre più la dualità come un qualcosa di utile, e forse persino come non totalmente eliminabile.
18.Colui che vede il non-agire nell'agire e l'agire nel non-agire, quegli è il più savio fra gli uomini, è uno che ha realizzato lo yoga, che tutto ha compiuto.
In effetti l'ente che intravede la consapevolezza (il non-agire) sottostante le apparenze (l'agire) e viceversa, ha indiscutibilmente una visione non-duale (che ha realizzato lo yoga, che tutto ha compiuto).
Il Sé oltretutto è indistruttibile. E' la consapevolezza non-duale, ciò che contende in ultima analisi il Vedanta. Pertanto è impossibile scinderla in due parti consapevoli e fare in modo che una parte faccia esperienza dell'altra. E anche se fosse divisibile, entrambi le parti avrebbero la stessa natura e l'esperienza così ottenuta sarebbe la stessa. Inoltre chi effettuerebbe la divisione? Dal momento che la consapevolezza è non-agente non può scindere se stessa, ma a causa della rappresentazioni mentali l'assoluto-consapevolezza può apparentemente differenziarsi e vedersi altro da sé:
1) La mente per quanto una ed indistinta nella sua essenza, manifestandosi appare scissa in soggetto ed oggetto in contrapposizione, alimentando così l'illusorio senso di separazione ed il conseguente conflitto d'identità derivante dall'immedesimazione del soggetto osservante con l'oggetto osservato, poichè pensarsi ciò che non si è genera sofferenza.
2) Questa apparente dualità in quanto effetto del moto proiettivo della mente (rajas), ha il potere di velare (tamas) la sottostante realtà indifferenziata della stessa (satva), favorendo in questo modo la fallace esperienza della percezione e quindi contribuendo alle relative ideazioni di nome e forma che nell'insieme vanno a comporre ciò che i saggi indicano con la parola Maya, semplice fenomeno immaginario.
3) Il mondo dei nomi e delle forme che così nella sua molteplicità espressiva giunge in esistenza sussiste fino a che, grazie al risveglio, il moto pensativo e le percezioni inerenti non si riassorbono del tutto, consentendo alla verace natura del sostrato di emergere e di palesarsi in quanto Brahman, l'Assoluto incondizionato.
4) Dalla prospettiva del Brahman invece, ogni eventuale modificazione mentale che possa spontaneamente sorgere e sovrapporsi, viene vista e dissolta per quello che è veramente: Brahman, l'Uno senza secondo, ed in ciò si cela se viene colto, il segreto del risveglio.
Da notare che al punto 3 la soluzione prospettata alle proiezioni sono il loro riassorbimento, il che è conforme alla logica mentale che si sostiene sul concetto della dualità. Ma non funziona perché la dualità è soltanto una credenza nella quale si indulge per auto-ignoranza del Sé in quanto consapevolezza non-duale.
Cosa diversa al punto 4 che, sebbene "vedere" qualcosa presuppone la presenza duale della mente, per il Sé-consapevolezza rappresenta soltanto una parvenza. Pertanto il credere per ignoranza ai dati proiettati dalla mente costituisce l'elemento fondante a sostegno dell'intero spettacolo della dualità, una esperienza apparente in cui un soggetto cosciente esperisce un oggetto inerte. Ma la coscienza è ogni cosa , il soggetto e l'oggetto e non è mai inerte. E' solo coscienza non-duale. Anche quando l'ignoranza apparentemente trasforma il Sé-consapevolezza nel soggetto ed oggetto, né il soggetto, l'ego-sperimentatore (jiva) né gli oggetti (eventi, situazioni, stati mentali, cose e persone) sono in effetti coscienti, pertanto il soggetto non esperisce gli oggetti sebbene certamente lo sembra. Il soggetto, l'ego sperimentatore-jiva, che pensa di essere cosciente, è a tutti gli effetti un oggetto conosciuto da te, la Coscienza Testimone.
Pertanto che cos'è l'esperienza? L'esperienza è sempre e soltanto la consapevolezza che esperisce se stessa, apparentemente nella forma di un io-mente e del mondo che lo contiene. La dualità non è coinvolta, è soltanto una credenza.
Per essere libero ho bisogno di comprendere me stesso come tutto, non soltanto come consapevolezza isolata dagli oggetti che in essa appaiono. L'illuminazione non è una esperienza che mi rende libero: è la totale e completa conoscenza di me stesso come consapevolezza e gli oggetti che appaiono in me, una conoscenza integrale e repentina che non dipende dalle circostanze contingenti, quindi sempre disponibile alla sua attualizzazione.
4. Tu sei perfetto e lo stesso in miseria e felicità, speranza e disperazione, e vita e morte. Pertanto in questo modo entra nello stato di dissoluzione.
Asthavakra Gita, quattro modi per la dissoluzione.
Questo è certamente un "taglio netto".
E tu non hai neanche l'ombra della sua modestia.latriplice ha scritto: ↑07/05/2017, 17:25Era per quello che Bo si definiva un aspirante discepolo, sapendo dell'italica usanza.![]()