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I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Il sistema filosofico Yoga Darshana, codificato nello Yogasutra di Patanjali
latriplice
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da latriplice » 07/05/2017, 17:42

Grazie.

latriplice
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da latriplice » 10/05/2017, 1:49

AUM ha scritto:

Non dubito che la dualità sia solo un credere. Ma non riesco a vedere come si possa smettere di credere. Essendo una potenzialità insita nel Brahman, essa si presenterà spontaneamente (lo ha appunto già fatto, presentando la credenza nella dualità, eccoci qui infatti). Quello che possiamo fare non è più che altro un semplice cambiamento di credo? Dal credo della dualità al credo sulla non-dualità. Lo so che i testi dicono che alla fine dobbiamo dissolvere anche il concetto della non-dualità, ma, ripeto (e, più lo leggo, più mi ispiro al già citato dialogo "è solo un'occhiata"), a quel punto cosa impedirà ad un nuovo credo di apparire di nuovo? Magari di nuovo proprio quello della dualità. Il Brahman, in sè, non ha avuto problemi a farlo apparire una volta e a sperimentarlo, quindi non vedo perché non dovrebbe "divertirsi" a farlo di nuovo, se ogni conoscenza è stata spazzata via dalle forme jivaiche precedenti. Ho visto che questo dubbio di Kara non era piaciuto molto nell'argomento che ho citato, anche se non capisco bene perché, ma anche a me rimane, e tutti i testi che suggeriscono di "dissolvere" in favore della non dualità, non riescono a farmelo dimenticare.
Io questo dubbio lo risolvo interpretando quel "dissolvere" come un "comprendere" profondo ed intuitivo (non semplicemente mnemonico), cioè far diventare il concetto della non-dualità intrinsecamente parte di me, "me" in quanto jiva (visto come "raggio" divino, non come semplice individuo). Il jiva, per quanto ben "informato" (tramite questo "comprendere"), non vedo come possa dissolversi in senso letterale, senza che ciò comporti la nascita di una nuova illusione. Io cerco di vederla in soggettiva, proprio come era suggerito nell'argomento "è solo un'occhiata": quello che alla pura consapevolezza mostra la dualità, è dovuto alla mia Ignoranza; ma tutto quello che alla pura consapevolezza mostra la non-dualità, è la mia Conoscenza. In quanto jiva, io sono questi due elementi (Conoscenza e Ignoranza). Senza di essi, non sono più un jiva, sono "puro Brahman" (o meglio, Brahman Immanifesto, che è pur sempre maya: da quel che ho compreso, non ha senso dire che rimane il Brahman senza la maya, così come non ha senso dire che rimane la creta senza una forma). Ma è proprio dal "puro Brahman" che è sorta questa ignoranza-sofferenza. Se non rimane la testimonianza di conoscenza "acquisita" dai Jiva, il Brahman-creta, che è pura coscienza, è costretto a rivivere tutto, perché esso non ha memoria o valutazioni, senza i jiva. Per questo nel post precedente dicevo che in qualche modo la dualità resterà sempre: il Brahman non impara, così come la creta di un vaso non impara niente, resta sempre e solo creta; ma le forme imparano, si adattano, esprimono sempre meglio le proprie potenzialità: le forme non possono non esserci, come appunto dicevo poco fa; la creta è informale solo se vista da un punto di vista qualitativo, e non perché può esistere senza una forma, per quanto irregolare possa talvolta essere; e tali forme, pur essendo un tutt'uno con la creta, imparano, "evolvono", migliorano, attraverso il susseguire ed eventualmente il mantenere nuove forme (ad esempio, attraverso il mantenimento della forma-pensiero "la verità è la non-dualità, e quindi io sono creta-Brahman"). Se invece pensano di trovare la creta-Brahman semplicemente dissolvendo l'attuale forma, non avranno comunque trovato la creta (loro sono già creta!), e non avranno ottenuto niente di più che il far ripartire la creta da capo per fare un nuovo vaso-jiva o chissà che altro.
Forse mi sono infarcito di troppi discorsi di Kara, ma una cosa il vostro dialogo me l'ha fatta capire: l'illusione non è il fatto che c'è l'aspetto formale con le sue possibili forme, a loro volta con la loro evoluzione e adattamento. L'illusione è invece il dividere le forme dalla "sostanza" (divisione che a sua volta fa credere che le varie forme siano indipendenti e quindi realmente molteplici), divisione che fin'ora mi ha fatto credere di dover far sparire le forme in favore di una "pura realtà" indipendente da esse.
Nel mio ultimo post in risposta a questo tuo intervento sono stato piuttosto sbrigativo e non del tutto esauriente come certamente avrebbe meritato la questione che hai sollevato e me ne scuso. Purtroppo la persona che avrebbe potuto risolvere i tuoi dubbi non c'è più e quelli che sono rimasti mi sembra che non abbiano nulla da dire, magari dando all'apparenza l'impressione che abbiamo un dialogo esclusivo. Ma tutti sono invitati a partecipare e visto che finora nessuno si è presentato a parte qualche invidioso della nostra interazione, intendo renderti nuovamente partecipe del mio punto di vista.

Bada però, non ho la statura, il carisma, il vissuto, la modestia che possa dare valenza rilevante a quello che sto per dirti. Puoi tranquillamente cestinarlo come gli annunci pubblicitari fastidiosi che trovi nel cassetto della posta.


".....Il Brahman, in sè, non ha avuto problemi a farlo apparire una volta e a sperimentarlo, quindi non vedo perché non dovrebbe "divertirsi" a farlo di nuovo, se ogni conoscenza è stata spazzata via dalle forme jivaiche precedenti....."

Parli del Brahman in terza persona, come se non ti riguardasse direttamente. Tra i molti significati che si attribuisce a questo termine c'è questa: consapevolezza, tu.

Per prima cosa tu sei questa totale, completa, illimitata, senza attributi, non-duale, non agente e ordinaria (hai afferrato questa?) consapevolezza.

Secondo, non puoi ottenere l'illuminazione.

Riguardo quest'ultimo, ci sono due ragioni per cui non puoi ottenere l'illuminazione, così iniziamo a sfatare un mito in cui si indulge per ignoranza.

1) Tu sei la "luce" (consapevolezza) e non puoi ottenere qualcosa che hai già o in questo caso che già sei.

2) La persona che appari essere, il jiva, non è niente più che materia inerte, inclusa la mente che è materia sottile, e pertanto non può guadagnare l'auto-conoscenza da sola.

L'intero complesso mente-corpo-sensi è semplicemente una macchina organica che funziona solo quando illuminata da te, consapevolezza. Quello che succede quando una entità apparente realizza la propria vera natura in quanto consapevolezza, in realtà è la consapevolezza che riconosce la propria vera natura tramite il veicolo dell'intelletto.

Certo che la consapevolezza stessa non necessita dell'intelletto allo scopo di conoscersi dal momento che si conosce in virtù dell'essere se stessa.
Ma, e questo è il punto, per gli scopi del dramma grandioso della realtà apparente (maya) che per qualche inesplicabile ragione è proiettata e governata dall'ignoranza, il processo dell'assimilazione dell'auto-conoscenza dell'individuo apparente (jiva) avviene nell'intelletto illuminato dalla consapevolezza, e così sembra all'interno del contesto della realtà apparente che sia l'individuo che ottenga l'illuminazione o l'auto-conoscenza.

Dal momento che la consapevolezza illimitata e senza attributi per definizione non ha alcuna mente con la quale pensare, l'assimilazione dell'auto-conoscenza è un fenomeno oggettivo che avviene solo all'interno dell'intelletto e per estensione, è solo rilevante per un apparente individuo che funziona all'interno del contesto dell'apparente realtà relativa.

"....il Brahman non impara, così come la creta di un vaso non impara niente, resta sempre e solo creta; ma le forme imparano, si adattano, esprimono sempre meglio le proprie potenzialità...."

Tu credi di essere una forma che impara, che si adatta, che esprime sempre meglio le proprie potenzialità. Credi anche di aver scritto di tuo pugno la frase di cui sopra. In realtà tu sei la luce in presenza della quale questa apparente attività prende vita. Non c'è alcuna entità che sta imparando o realizzando qualcosa. Stai semplicemente testimoniando un processo automatico dettato dall'interazione dei guna di cui non stai prendendo parte.

E all'interno di questo processo interattivo può avvenire spontaneamente quello che si definisce come una realizzazione "personale" di cui gran parte se non tutti dei frequentatori di questo forum hanno un timore reverenziale alla stregua di un tabù.

Tranquilli potete rilassarvi, nessuno si illumina senza il vostro consenso lasciandovi a crogiolare nell'invidia.

Mauro
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da Mauro » 10/05/2017, 8:07

quelli che sono rimasti mi sembra che non abbiano nulla da dire
Io personalmente su questi argomenti non ho veramente più nulla da dire.
Ho già letto e sentito abbastanza.

Ma per fortuna ci se tu, che -vedo- hai sempre copiose parole da regalarci a profusione, in maniera peraltro ripetitiva, quasi che a ripeterle, forse, convinceranno anche te.

latriplice
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da latriplice » 10/05/2017, 15:03

Mauro ha scritto:
10/05/2017, 8:07
quelli che sono rimasti mi sembra che non abbiano nulla da dire
Io personalmente su questi argomenti non ho veramente più nulla da dire.
Ho già letto e sentito abbastanza.

Ma per fortuna ci se tu, che -vedo- hai sempre copiose parole da regalarci a profusione, in maniera peraltro ripetitiva, quasi che a ripeterle, forse, convinceranno anche te.
In effetti come avevo già annunciato in precedenza, non ho la statura, il carisma, il vissuto, la modestia che possa attribuire importanza a quello che scrivo, sebbene ispirato dal Vedanta di cui sono fanatico assertore. Tantomeno un illuminato, pertanto hai fatto benissimo a cestinarlo come gli annunci pubblicitari insistenti che nonostante il cartello "niente pubblicità, grazie" continuano ad intasare il cassetto della posta.

Mauro
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da Mauro » 10/05/2017, 16:08

Io non cestino nulla, vorrebbe significare "carta straccia", e carta straccia non è.
Io ho smesso di leggere tutto ciò che è inerente la dottrina o "l'insegnamento", inclusi gli stralci di Bo postati da cielo e le auliche citazioni postate dall'ottimo seva.
Tantomeno i vari "talks di Ramana (che invero era più che altro noto per il suo silenzio), o le parole illuminanti di Ramakrishna e Vivekananda (peraltro molto più ciarlieri).
Non leggo più testi sacri di cui ho più di qualche scaffale pieno, incluse la B. Gita, le Upanishad, il Mahabharata e chi ne ha ne metta.
Se faccio dei richiami vado a memoria.
Quindi, latriplice, il mio attuale disinteresse nel leggere quanto scrivi si estende ad anche ben altro. Sei in ottima e nobile compagnia.

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A-U-M
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da A-U-M » 14/05/2017, 18:02

latriplice ha scritto:
10/05/2017, 1:49
AUM ha scritto:

Non dubito che la dualità sia solo un credere. Ma non riesco a vedere come si possa smettere di credere. Essendo una potenzialità insita nel Brahman, essa si presenterà spontaneamente (lo ha appunto già fatto, presentando la credenza nella dualità, eccoci qui infatti). Quello che possiamo fare non è più che altro un semplice cambiamento di credo? Dal credo della dualità al credo sulla non-dualità. Lo so che i testi dicono che alla fine dobbiamo dissolvere anche il concetto della non-dualità, ma, ripeto (e, più lo leggo, più mi ispiro al già citato dialogo "è solo un'occhiata"), a quel punto cosa impedirà ad un nuovo credo di apparire di nuovo? Magari di nuovo proprio quello della dualità. Il Brahman, in sè, non ha avuto problemi a farlo apparire una volta e a sperimentarlo, quindi non vedo perché non dovrebbe "divertirsi" a farlo di nuovo, se ogni conoscenza è stata spazzata via dalle forme jivaiche precedenti. Ho visto che questo dubbio di Kara non era piaciuto molto nell'argomento che ho citato, anche se non capisco bene perché, ma anche a me rimane, e tutti i testi che suggeriscono di "dissolvere" in favore della non dualità, non riescono a farmelo dimenticare.
Io questo dubbio lo risolvo interpretando quel "dissolvere" come un "comprendere" profondo ed intuitivo (non semplicemente mnemonico), cioè far diventare il concetto della non-dualità intrinsecamente parte di me, "me" in quanto jiva (visto come "raggio" divino, non come semplice individuo). Il jiva, per quanto ben "informato" (tramite questo "comprendere"), non vedo come possa dissolversi in senso letterale, senza che ciò comporti la nascita di una nuova illusione. Io cerco di vederla in soggettiva, proprio come era suggerito nell'argomento "è solo un'occhiata": quello che alla pura consapevolezza mostra la dualità, è dovuto alla mia Ignoranza; ma tutto quello che alla pura consapevolezza mostra la non-dualità, è la mia Conoscenza. In quanto jiva, io sono questi due elementi (Conoscenza e Ignoranza). Senza di essi, non sono più un jiva, sono "puro Brahman" (o meglio, Brahman Immanifesto, che è pur sempre maya: da quel che ho compreso, non ha senso dire che rimane il Brahman senza la maya, così come non ha senso dire che rimane la creta senza una forma). Ma è proprio dal "puro Brahman" che è sorta questa ignoranza-sofferenza. Se non rimane la testimonianza di conoscenza "acquisita" dai Jiva, il Brahman-creta, che è pura coscienza, è costretto a rivivere tutto, perché esso non ha memoria o valutazioni, senza i jiva. Per questo nel post precedente dicevo che in qualche modo la dualità resterà sempre: il Brahman non impara, così come la creta di un vaso non impara niente, resta sempre e solo creta; ma le forme imparano, si adattano, esprimono sempre meglio le proprie potenzialità: le forme non possono non esserci, come appunto dicevo poco fa; la creta è informale solo se vista da un punto di vista qualitativo, e non perché può esistere senza una forma, per quanto irregolare possa talvolta essere; e tali forme, pur essendo un tutt'uno con la creta, imparano, "evolvono", migliorano, attraverso il susseguire ed eventualmente il mantenere nuove forme (ad esempio, attraverso il mantenimento della forma-pensiero "la verità è la non-dualità, e quindi io sono creta-Brahman"). Se invece pensano di trovare la creta-Brahman semplicemente dissolvendo l'attuale forma, non avranno comunque trovato la creta (loro sono già creta!), e non avranno ottenuto niente di più che il far ripartire la creta da capo per fare un nuovo vaso-jiva o chissà che altro.
Forse mi sono infarcito di troppi discorsi di Kara, ma una cosa il vostro dialogo me l'ha fatta capire: l'illusione non è il fatto che c'è l'aspetto formale con le sue possibili forme, a loro volta con la loro evoluzione e adattamento. L'illusione è invece il dividere le forme dalla "sostanza" (divisione che a sua volta fa credere che le varie forme siano indipendenti e quindi realmente molteplici), divisione che fin'ora mi ha fatto credere di dover far sparire le forme in favore di una "pura realtà" indipendente da esse.
Nel mio ultimo post in risposta a questo tuo intervento sono stato piuttosto sbrigativo e non del tutto esauriente come certamente avrebbe meritato la questione che hai sollevato e me ne scuso. Purtroppo la persona che avrebbe potuto risolvere i tuoi dubbi non c'è più e quelli che sono rimasti mi sembra che non abbiano nulla da dire, magari dando all'apparenza l'impressione che abbiamo un dialogo esclusivo. Ma tutti sono invitati a partecipare e visto che finora nessuno si è presentato a parte qualche invidioso della nostra interazione, intendo renderti nuovamente partecipe del mio punto di vista.

Bada però, non ho la statura, il carisma, il vissuto, la modestia che possa dare valenza rilevante a quello che sto per dirti. Puoi tranquillamente cestinarlo come gli annunci pubblicitari fastidiosi che trovi nel cassetto della posta.


".....Il Brahman, in sè, non ha avuto problemi a farlo apparire una volta e a sperimentarlo, quindi non vedo perché non dovrebbe "divertirsi" a farlo di nuovo, se ogni conoscenza è stata spazzata via dalle forme jivaiche precedenti....."

Parli del Brahman in terza persona, come se non ti riguardasse direttamente. Tra i molti significati che si attribuisce a questo termine c'è questa: consapevolezza, tu.

Per prima cosa tu sei questa totale, completa, illimitata, senza attributi, non-duale, non agente e ordinaria (hai afferrato questa?) consapevolezza.

Secondo, non puoi ottenere l'illuminazione.

Riguardo quest'ultimo, ci sono due ragioni per cui non puoi ottenere l'illuminazione, così iniziamo a sfatare un mito in cui si indulge per ignoranza.

1) Tu sei la "luce" (consapevolezza) e non puoi ottenere qualcosa che hai già o in questo caso che già sei.

2) La persona che appari essere, il jiva, non è niente più che materia inerte, inclusa la mente che è materia sottile, e pertanto non può guadagnare l'auto-conoscenza da sola.

L'intero complesso mente-corpo-sensi è semplicemente una macchina organica che funziona solo quando illuminata da te, consapevolezza. Quello che succede quando una entità apparente realizza la propria vera natura in quanto consapevolezza, in realtà è la consapevolezza che riconosce la propria vera natura tramite il veicolo dell'intelletto.

Certo che la consapevolezza stessa non necessita dell'intelletto allo scopo di conoscersi dal momento che si conosce in virtù dell'essere se stessa.
Ma, e questo è il punto, per gli scopi del dramma grandioso della realtà apparente (maya) che per qualche inesplicabile ragione è proiettata e governata dall'ignoranza, il processo dell'assimilazione dell'auto-conoscenza dell'individuo apparente (jiva) avviene nell'intelletto illuminato dalla consapevolezza, e così sembra all'interno del contesto della realtà apparente che sia l'individuo che ottenga l'illuminazione o l'auto-conoscenza.

Dal momento che la consapevolezza illimitata e senza attributi per definizione non ha alcuna mente con la quale pensare, l'assimilazione dell'auto-conoscenza è un fenomeno oggettivo che avviene solo all'interno dell'intelletto e per estensione, è solo rilevante per un apparente individuo che funziona all'interno del contesto dell'apparente realtà relativa.

"....il Brahman non impara, così come la creta di un vaso non impara niente, resta sempre e solo creta; ma le forme imparano, si adattano, esprimono sempre meglio le proprie potenzialità...."

Tu credi di essere una forma che impara, che si adatta, che esprime sempre meglio le proprie potenzialità. Credi anche di aver scritto di tuo pugno la frase di cui sopra. In realtà tu sei la luce in presenza della quale questa apparente attività prende vita. Non c'è alcuna entità che sta imparando o realizzando qualcosa. Stai semplicemente testimoniando un processo automatico dettato dall'interazione dei guna di cui non stai prendendo parte.

E all'interno di questo processo interattivo può avvenire spontaneamente quello che si definisce come una realizzazione "personale" di cui gran parte se non tutti dei frequentatori di questo forum hanno un timore reverenziale alla stregua di un tabù.

Tranquilli potete rilassarvi, nessuno si illumina senza il vostro consenso lasciandovi a crogiolare nell'invidia.
Dice bene Mauro: ho quasi raccolto l'eredità di Kara. Ma forse non abbastanza, e infatti riesco ad essere abbastanza distaccato dalle sue parole da vedere che, secondo me, tu e Kara non stavate dicendo qualche cosa di diverso. Voglio dire: hai perfettamente ragione, il Brahman sono io in quanto consapevolezza. In fondo, anche Kara lo ripeteva di continuo, quando invitava a vederlo in prima persona. E quindi, in quanto Brahman, io non devo "illuminarmi". La creta non deve raggiungere una stabilità concreta: essa è già concreta. Sono le sue forme che cercano la stabilità (o meglio: è la creta, unico testimone, che guarda-conosce se stessa tramite le proprie forme che assurdamente cercano stabilità in sé stesse), non comprendendo che, se guardano a se stesse solo in quanto forme, non potranno mai avere una stabilità. Devono allora trovare una forma che dica a se stesse (o meglio: che dica alla stessa creta): tu sei creta! Arrivati a questo punto, proprio come dicevi tu, non possiamo dire neanche che siano le forme-jiva ad aver raggiunto "l'illuminazione-concretezza": esse non sono un qualcosa di separato dalla creta, c'è solo la creta che sta testimoniando a se stessa, attraverso particolari forme, il suo essere creta. Detta così torna comunque? Io, a differenza di te e Kara, ho difficoltà, se non faccio esempi concreti.
Quindi, dici bene: alla fine smetterò (io, Brahman-creta) di avere l'impressione di essere una forma che scrive di suo pugno certe cose, che fa altre cose, ecc., perché avrò una forma che (a me, Brahman-creta) mi dirà: c'è solo la creta, e io sono creta.

Su questo sono d'accordo con te. Ma sono d'accordo anche con Kara, che diceva: questa ultima forma che riesce a testimoniare a me-creta di essere creta, non può essere abbandonata, senza che ciò faccia automaticamente ricapitolare tutto da capo! (Ovvero: io-creta sperimenterei di nuovo forme che non mi informano di essere creta, ma che mi fanno credere di essere mera forma, proprio come ora...)
Quindi, dove stava il vostro presunto disaccordo? E, soprattutto, non sto facendo bene, quando mi "preoccupo" di non rischiare di prendere alla lettera i suggerimenti sul "dissolvere" il corpo causale, sede dello "stampo" che mi fornisce (a me, Brahman-creta) la forma che mi dice "tu sei Brahman-creta", senza la quale tornerei (io, Brahman-creta) a dover rifare tutto da capo? Certo, se capitasse questa ipotetica ricapitolazione dell'Ignoranza, sarebbe poco male, visto che in quanto Brahman-creta rimango inalterato. Ma, se la maya, o meglio le forme, ci devono proprio essere, che ci siano quelle meno dolorose... (che è proprio ciò che stiamo cercando di ottenere) e quindi gettiamo subito le basi affinché esse non vadano dissolte in una sadhana "avventata", cioè tesa a dissolvere tutte le forme, alla lettera!
Per questo, dicevo, non vedo altra soluzione che quella di Kara, se l'ho ben compresa: l'unico modo sensato di intendere quella "dissoluzione del corpo causale" è di attuarla esclusivamente sviluppando un senso di disidentificazione, che il jiva-forma (o meglio, che il Brahman che si osserva attraverso un jiva-forma) dovrebbe avere non solo verso la sua forma manifesta, ma anche verso il suo stesso "stampo" causale.

E, perdonate la complicazione, la scrivo solo perché mette in ordine in me certi dettagli emersi dallo studio di tutto quello che avete e abbiamo scritto) credo sia da capire bene che tale senso di disidentificazione (l'unico vero sensato "dissolvimento"), sarebbe attivo solo nelle forme-jiva che esso va appunto ad informare; jiva che, di per sé, altro non sono se non degli insiemi di forme (tra cui appunto l'eventuale forma che dovremmo ottenere e che ho chiamato "senso di disidentificazione da se stesso"), forme che non sono sperimentabili direttamente nel corpo causale, perché di per sé (preso a sé stante, cioè come se potesse esistere quando non sono attivi gli altri corpi) il corpo causale non è sperimentabile attraverso nessuna particolare forma distinta, essendo esso solo il punto di inizio delle forme (e quindi mi viene da pensare che, in quanto "punto", quindi senza tempo e spazio, esso non sia sperimentabile... questo mi fa chiedere, ma ci vorrebbe forse un nuovo argomento apposito, quale valore "trascendente" abbiano i vari "samadhi sperimentabili", cioè i "savikalpa"; cioè, mi chiedo quanto essi abbiano a che fare con la "creta" più di quanto non ne abbia a che fare una passeggiata o mangiare un gelato; o, viceversa, quanto abbia senso creare una distinzione tra essi e quelli che non sono sperimentabili, cioè quelli "nirvikalpa": al di là dei giochi di parole che alcuni ne fanno dicendo che sono appunto "fuori dall'esperienza", se essi non fossero veramente sperimentabili, non se ne potrebbe parlare neanche indirettamente... scusate, ho avuto una specie di "mistico rigurgito per la mistica", il che è grave, nel bene o nel male, nella mia posizione di vita. Forse mi troverei bene solo nello Zen, dove si cerca la realtà quasi esclusivamente nelle manifestazioni di vita ordinaria, e dove il meditare è solo uno stare seduti, senza parlare di savikalpa o nirvikalpa. Se solo i buddisti zen non "odiassero" così tanto lo studio, rispetto a quanto lo amo io...).

Mauro
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Re: I tre tuffi: risoluzione del corpo causale

Messaggio da Mauro » 14/05/2017, 18:10

Forse mi troverei bene solo nello Zen, dove si cerca la realtà quasi esclusivamente nelle manifestazioni di vita ordinaria.
Ottima scelta.
Solo che lo Zen insegna la sintesi, che è espressione di ciò che è essenziale ;)

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